Gesù gridò a gran voce: “Eloi, Eloi, lammà sabactani?”. Il Salmo 22 ne chiarisce il contesto, un salmo che parla di una fede sofferente. Nel primo secolo i salmi non erano numerati perciò ogni salmo veniva titolato con la prima riga del suo testo. Qual è la prima riga del salmo 22? “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” Quindi se chiunque avesse desiderato trovare quel salmo, avrebbe dovuto chiedere: “Scusi, ho bisogno del salmo “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Quindi, quando Gesù disse quelle parole, gli ebrei religiosi che lo circondavano compresero che c’era un contesto nelle sue parole. Alcuni teologi affermano che quando Gesù stava soffrendo, sentì che fosse appropriato citare le Scritture. Per noi invece Gesù disse quelle parole in maniera autentica, che fuoriuscivano dal Suo cuore e che coincidevano con le Scritture. Le Sue parole avevano un proposito. Il salmo 22 è un grido di fede anche se è un salmo che parla di sofferenza. Gesù ha detto: “Mio Dio”. Il Suo grido è stato anche un grido di assenza, perché ha detto: “Mio Dio”… cosa non ha detto? “Abba”. Questo non era il modo in cui Gesù comunicava con Suo Padre. La sua relazione con Suo “papà” non era più percepita come prima. “Mio Dio, perché?!” Questo esprime una realtà obbiettiva. Il peccato separò il Figlio dal Padre. Le Scritture rispecchiano questo fatto evidenziando che non si trattasse di poesia, qualcosa di importante era accaduto. “Poiché egli ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui.” (2 Corinzi 5:21). “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione al posto nostro (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»)” (Galati 3:13). Gesù divenne il peggio di noi, per offrirci il Suo meglio. Lui assorbì in Sé stesso il male del mondo e in quel momento il peccato lo separò dal Padre. Esiste una realtà obiettiva ma anche soggettiva in quelle parole. Con ogni tipo di sofferenza intensa e inspiegabile si devono affrontare due cose: l’evento stesso e le domande che ci torturano. Non solo si sente il dolore di ciò che è trascorso, ma anche il dolore di non conoscerne il perchè. Ci chiediamo se Dio ci odi o se qualcosa sia andato storto. Ci domandiamo se abbiamo fatto qualcosa per meritarlo.
Le parole di Gesù in quel momento sulla croce non esprimevano un’affermazione. Dio stava rivolgendosi a Sé stesso, il Figlio si rivolgeva al Padre non solo per dichiarare che Lui lo avesse abbandonato mostrando la spaccatura che si era formata nella loro relazione, ma anche che Gesù si stava chiedendo il perché. “Mio Dio, mio Dio, perché??” Trovo che quelle parole siano tra le più profonde di tutte le Scritture; quando Dio fa una domanda a Dio. Consideriamo la possibilità che Dio avesse dubitato di Dio. Tramite Gesù Cristo, Dio si è identificato con il più alto livello della sofferenza umana e della tortura psicologica che si attraversa nel mezzo dell’angoscia quando si perde di vista la spiegazione, la risposta, il motivo.
Cosa ci dice il testo riguardo Dio stesso? Il Dio di Gesù è il Dio che soffre. Mentre facciamo delle domande puntando il nostro dito a Dio, chiedendoGli come mai esiste tutta questa sofferenza dobbiamo ammettere che stiamo avvicinandoci ad un Dio che ha fatto di sé stesso la vittima più grande della sofferenza e dell’afflizione. Questo è il Dio che Gesù ci ha rivelato. Lui lo ha fatto di cuore per identificarsi con noi pienamente. “Poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione” (2 Corinzi 5:19). Queste sono delle buone notizie, desideriamo condividere questo messaggio. Questo è il Dio al quale ci rivolgiamo in preghiera, e di cui parliamo. Quindi lo approcciamo con una certa misura di umiltà, comprensione, questo è un Dio che non sta cercando di infliggere dolore ma che desidera identificarsi con noi.
Il Dio di Gesù tira fuori il bene dal male. Se seguissimo Gesù la nostra mente cambierebbe quando il male ci ostacolerebbe perché sappiamo bene che Dio si specializza nel tirare fuori il meglio, dal peggio. La croce è un esempio della peggiore ingiustizia che ha portato il miglior bene per l’umanità. Perciò se questo è il caso, allora ogni altra ingiustizia minore o sofferenza rappresenta qualcosa di cui Dio può trarre del bene. Quando guardiamo l’immagine della croce non c’è nulla che raffiguri un trionfo; non è un’immagine attraente, non c’è nulla nella tortura, crocifissione e morte di Cristo che ci faccia pensare che sia buono. Dio nonostante tutto, tirò fuori il meglio, da quella scena di grande agonia. E’ la cerimonia d’incoronazione del Re del nostro Regno. E’ la scena dove Lui viene incoronato ed entra in un Regno in sintonia con le sofferenze del mondo e poi ci chiama a prendere la nostra croce e seguirLo. Il Dio di Gesù offrì se stesso come risposta al nostro dolore.
Approfondiremo questi studi con risposte di natura filosofica e biblica. Dal punto di vista biblico la risposta è che Dio stesso si è espresso nella forma di Cristo. Dio ha sofferto con noi e ci dà il Suo cuore.
Nel libro di Giobbe (uno dei personaggi dell’Antico Testamento), leggiamo che lui ha sofferto molto e scopriamo le sue profonde domande al perché del suo strazio: “Dio non è un uomo come me, perché possiamo comparire in giudizio assieme. Non c’è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due! Dio allontani da me la sua verga; smetta di spaventarmi con il suo terrore” (Giobbe 9:32-34). Nell’ebraico originale “che posi la mano su tutti e due”, significa che desiderava che qualcuno portasse la pace tra di loro, qualcuno che potesse decidere il loro caso. L’ebraico in realtà dice che sperava che qualcuno potesse afferrare entrambi e unirli. Giobbe sentiva che tra Dio e lui c’era un abisso e pregava per un mediatore; sentiva che Dio lo stesse colpendo forte con la Sua ira. Aveva bisogno di sentire l’amore di Dio e necessitava di qualcuno che glielo potesse mostrare. Il cuore di Giobbe richiamava questa figura che poi Dio introdusse nel Nuovo Testamento: se stesso. Attraverso Cristo, Dio ha unito la Sua figura con la nostra. “Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo” (1 Timoteo 2:5). Quindi Dio, un essere divino, che diventò pienamente umano. Tutto il dolore, confusione e separazione creato dall’abisso tra Dio e gli uomini fu unito nella persona di Gesù. “Poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo…” (2 Corinzi 5:19), attraverso Cristo Dio è all’opera nelle nostre vite.
Quando preghiamo e parliamo di Dio ci riferiamo al Dio che dice: “sono stato al tuo posto”. Sappiamo bene che quando si attraversano dei momenti intensi di dolore è positivo avere dei buoni amici in grado di consigliarci ma ciò che ci aiuta di più è conoscere qualcuno che abbia vissuto la stessa cosa e che ci possa riassicurare dicendo: “comprendo il tuo dolore perché anch’io l’ho vissuto”. Quando ci rivolgiamo a Dio, Lui riempie entrambi i nostri bisogni. Lui è la fonte della saggezza, della compassione e dell’empatia infinite, nessun’altra religione o filosofia ha questo da offrire. Il messaggio è profondo: il Dio dell’universo ha sperimentato il nostro dolore e ci offre di camminare insieme a noi.
Niente ha più potenziale di creare un profondo senso dell’assenza di Dio che una sofferenza ingiusta inspiegabile. Durante quei momenti potremmo sentirci abbandonati da Dio come Gesù o come il re Davide. Quando ciò accadde ricordiamo che un senso palpabile dell’assenza di Dio è evidenza della realtà del coinvolgimento di Dio nella nostra vita…a nessuno manca o desidera ardentemente ciò che non conosce. A nessuno manca ciò a cui non si crede o quello che non si ha la più pallida idea che sia. Non si prova un senso di assenza su qualcosa che non si abbia mai sperimentato. Il nostro bisogno di Dio, il sentire che Lui ci abbia abbandonato è evidenza che Dio sia stato presente. Perciò se il nostro Dio è il Dio di Gesù possiamo contare su di Lui perché ha promesso di continuare ad essere presente nelle nostre vite. Se qualcuno si trovasse in un bar ad aspettare il proprio partner ed egli non arrivasse all’ora stabilita e si prolungasse il ritardo, il senso palpabile della sua assenza sarebbe molto evidente. Come mai? Le persone presenti nel bar non sentirebbero la stessa mancanza, perché non la conoscerebbero. A noi ci mancano alcune persone perché le conosciamo, vogliamo bene loro, siamo consapevoli della loro presenza e abbiamo una relazione con loro. Il senso di mancanza che sentiamo è un segno del coinvolgimento della relazione che uno ha con la persona che non c’è. Se non ci fosse nessun Dio o se qualcuno pensasse che Dio non esistesse, quella persona diventerebbe come uno di quei clienti in quel bar…non chiederebbero “perché?” a Dio e non lo cercherebbero perché a loro, non mancherebbe. Se una persona invece stesse affrontando un momento di difficoltà e avesse un grido nel cuore diretto a Gesù: “perché mi hai abbandonato?”, “Dove sei quando ho bisogno di Te?” … contenuta nella domanda stessa ci sarebbe evidenza che Gesù sarebbe coinvolto nella sua vita. Esiste una relazione dalla quale scaturisce il senso del desiderio di Dio. Le domande stesse diventano il mezzo tramite il quale possiamo collegarci con l’amore di Dio.
Domande e risposte:
Domanda: Quando formulo la domanda “mio Dio, perché?” credo di farlo perché sono alla ricerca del senso di responsabilità per le mie azioni o di qualcuno da incolpare, cosa ne pensi?
Risposta: Qual è la domanda o il primo passo per cambiare quell’approccio che sappiamo sia di natura distruttiva? Forse il primo passo sarebbe insieme alla nostra comunità di fede cercare di tirare fuori ciò che sentiamo, poi si potrebbe pregare la preghiera del salmo 22. Non dovremmo cercare di non dire certe cose e scusarci perché Dio può reggere tutto e sa che lo stiamo pensando. Chi ha avuto un passato di chiesa probabilmente ha bisogno di sentirsi libero di urlare a Dio. Vorremmo incoraggiare le persone a coltivare una relazione aperta e autentica dove possiamo chiedere a Dio tranquillamente: “Dove sei?” “Ho bisogno di Te!”.
Dobbiamo stare attenti però a non rimanere impallati in quella posizione, ricordiamo che il salmo 22 guida verso la fede e il rafforzamento della speranza ma passa attraverso la valle del dubbio. Impariamo ad esprimerci e tirare fuori ciò che pensiamo.
Domanda: Se Dio stava soffrendo con al fianco di Gesù allora come ha fatto ad abbandonarlo?
Risposta: In questo caso dobbiamo fare riferimento alla dottrina della Trinità. La Trinità rappresenta la migliore spiegazione umana dell’informazione biblica. La Bibbia spiega che Gesù è il Figlio di Dio e anche Dio; il cuore di Dio e anche Dio; la parola di Dio o il Suo messaggio e anche Dio. ” Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio” (Giovanni 1:1). Gesù era con Dio quindi una Persona a parte, ma allo stesso tempo, Dio. In un certo senso Dio è intimamente relazionale. Lo Spirito Santo è Colui che sarebbe venuto a ricordarci gli insegnamenti di Gesù. E’ quell’aspetto di Dio all’opera nelle nostre vite. Mentre la dottrina della Trinità è il nostro miglior tentativo umano per dare una spiegazione a questo mistero, almeno indica che il battito di cuore dell’universo è di natura relazionale. Il DNA della vita è relazionale. Dio non è un singolo che ha deciso di creare altri per avere una relazione, Lui è la relazione stessa, Lui è l’amore. Dio non ha avuto bisogno di creare altri con il proposito di amarli, Lui è l’amore in armonia, in unità, in relazione e l’amore cerca di condividere quell’amore con gli altri. Lui non deve creare per iniziare ad amare, Lui è l’amore stesso. Dovuto a questo il Dio indicato nelle Scritture sarebbe l’unico concetto di Dio che potrebbe sperimentare una cosa del genere. Uno è libero di credere o meno, ma è qualcosa di molto bello e brillante dal punto di vista biblico che solo un Dio di natura relazionale con sé stesso potrebbe empatizzare pienamente con l’esperienza umana ma allo stesso tempo non cessare di essere Dio. Lui ha sperimentato anche quel profondo senso di dubbio, disperazione ed abbandono, ha preso i peccati del mondo su se stesso, ha attraversato la valle oscura dell’anima e del dolore ed è emerso. Abbiamo il Padre ed il Figlio separati ma poi c’è lo Spirito Santo che mantiene loro e noi uniti, rinnovati, e risorti. Non trovo altra spiegazione dell’universo così trascinante e affascinante nella sua bellezza e verità che l’evidenza manifestata nella vita di Gesù.
Conclusione:
Nel corso di questa serie non vogliamo limitarci soltanto a parlare della sofferenza, desideriamo anche fare qualcosa al riguardo, aiutando chi ha bisogno. Il mio desiderio è che tutti possiamo maturare e crescere riuscendo a diventare delle comunità oneste e aperte riguardo alle domande, al nostro dolore e alla nostra sofferenza. Spero che non ci sentiamo insicuri nella fede o minacciati quando qualcuno formuli una domanda sentendoci forzati a dover dare una risposta immediatamente riempendo tutti i momenti di silenzio con la nostra versione di ciò che consideriamo sia la risposta giusta. A volte le domande devono aspettare senza essere risposte. Spero che le domande diventino un’espressione della nostra fede, la Bibbia ci incoraggia a farlo, non dovremmo avere paura di chiedere.
Preghiera: Padre Celeste, ti ringrazio che in Cristo possiamo vedere un Dio di amore infinito, compassione ed empatia con la nostra sofferenza umana. Ti ringrazio che anche ora mentre preghiamo e ci rivolgiamo a Te possiamo attraverso Gesù avere la sicurezza di parlare con un Dio che ha vissuto ciò che abbiamo sperimentato e che cammineremo insieme. Nel nome di Gesù, Ti chiediamo il coraggio, la salute e la maturità come comunità per imparare ciò che significa collegarci a Te sia tramite le domande che attraverso le risposte. Amen.
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