Se Gesù non si trovava ad insegnare, predicare, guarire o riprendere qualcuno, era di certo presente ad una festa, cena, banchetto di matrimonio, evento sociale o celebrazione. Spesso lo invitavano o si invitava da solo. Sembra che le feste fossero proprio degli eventi a cui Gesù piaceva frequentare e questo fatto era scandaloso agli occhi del sistema religioso a causa di diversi motivi che discuteremo in questo studio.

Penso che sia importante capire bene chi è stato Gesù e chi continua ad essere oggi anzitutto perché Lui è a capo del Paradiso. Perciò, se desideriamo andare lì un giorno dopo la nostra morte, sarebbe buono comprendere che tipo di posto è e com’è il nostro padrone di casa per sapere come comportarci e valutare se andare in Paradiso sia qualcosa che desideriamo veramente. Se Cristo fosse una personalità anche minimamente stoica c’è il rischio che il Paradiso sia una grande noia eterna e non sono sicuro di voler partecipare. Quello che si scopre nelle scritture invece è che Gesù fu il tipo di persona che portava vita dovunque andasse.

In quei giorni seguire Cristo significava dovere affrontare il fatto di seguire una persona fisica visto che Lui disse: “Seguite me”. Seguire Cristo voleva dire viaggiare insieme a Lui ed osservare come si comportava cercando di imitarlo. Seguire Cristo voleva dire osare di vivere nel modo in cui Lui visse, cosa che vorrei investigare più in dettaglio.

Gesù visse in modo molto scandaloso. Spesso partecipava alle feste perché era stato invitato e desiderava farlo o perché li facevano ricordare la sua casa in Paradiso.  Gesù spesso utilizzò il concetto della festa nei suoi insegnamenti, in particolare la festa delle nozze che in quei giorni rappresentava la celebrazione più sfarzosa e divertente permessa nella cultura ebraica. La utilizzò spesso come analogia per esprimere come fosse il Paradiso, per illustrare in un certo senso da dove provenisse e dove sarebbe tornato.

Questa analogia non rappresenta le stesse cose nella nostra cultura occidentale. Per noi, i matrimoni o feste di nozze sono degli eventi sicuramente divertenti ma molti, in particolare quelli cristiani, sono noiosi: si mangia, si fa un brindisi, si ascoltano dei discorsi, e se qualcuno desidera inserire qualcosa d’emozionante si guardano delle diapositive o foto della coppia. La gente se ne sta in piedi non proprio sicura di ciò che dovrebbe fare, limitandosi a scambiarsi degli auguri. Nel primo secolo, una festa di nozze in Palestina durava dei giorni, gli invitati arrivavano da diversi luoghi della nazione e i parenti li ospitavano. Durante i giorni di festeggiamento la gente dormiva e appena si alzava continuava a festeggiare. I festeggiamenti spesso si prolungavano fino ad una settimana intera. Le persone ballavano, bevevano e ascoltavano della musica. Era un festeggiamento intergenerazionale bellissimo dove la gente si rilassava per diversi giorni e uno si dimenticava degli affari quotidiani per dedicarsi insieme ad altri alla celebrazione dell’unione dell’amore e della vita; la famiglia. La celebrazione più grande in esistenza in quei giorni.

Gesù ha voluto darci un assaggino di come sarebbe stato il Paradiso. Le feste erano momenti nei quali Lui si sentiva a suo agio e dove spesso entrava in contatto con altre persone. Nelle feste si esprimeva con naturalezza e frequentarle non Li pesava. Non diceva: “Beh, i peccatori hanno bisogno di Me, quindi, mi sacrificherò ed andrò ad una festa..!” Lui frequentava queste feste ed era spesso invitato, quindi, sembra che Lui fosse qualcuno desiderato e benvoluto in quei contesti.

Un altro aspetto da evidenziare è come Gesù desiderasse che il Suo messaggio comunicasse gioia. Il senso della parola “gioia” all’interno di un ambiente religioso spesso perde il suo significato. A volte in chiesa cantiamo delle canzoni che parlano della gioia ma le interpretiamo in modo piuttosto spento, e quindi, diciamo la parola “gioia” ma non lo dimostriamo per niente. Il concetto della “gioia” di Gesù è totalmente diverso dal concetto religioso moderno.  Cristo non si limitò solo a cantare dei brani che parlassero della gioia ma frequentò tante feste. Un concetto di celebrazione totalmente radicale. Giovanni 15:11: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. In altre parole, Gesù desidera instillare nei suoi seguaci gioia pura per far nascere in loro la vera gioia. Disse qualcosa di simile in Giovanni 16:24: “…Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena”. A Gesù premeva che i Suoi discepoli fossero contagiati dallo spirito festoso, desiderava che fossero felici e che avessero voglia di celebrare. In Atti 13:52 c’è una descrizione dei discepoli dove dice che fossero “pieni di gioia”; un seguace di Cristo dovrebbe essere una persona festosa!

Mamma mia, come sono cambiate le cose da allora! Abbiamo vissuto diversi alti e bassi nella storia del cristianesimo. Il nostro desiderio è quello di diventare un gruppo di individui che desiderano tornare al mandato originale di Gesù di Nazaret. Penso che Lui incoraggiasse le celebrazioni e ci incoraggia a partecipare in esse. Lui ci ha dato il Suo esempio ed è ciò che si aspetta da i Suoi seguaci. Quando partecipiamo ad una festa, illustriamo il messaggio del vangelo. Se Gesù ci dice che il Regno dei Cieli è simile ad una grande celebrazione dovremo sapere cosa significa altrimenti diminuiamo l’impatto di quell’insegnamento.

Dovremo cercare di vivere la nostra vita secondo le analogie che Lui ha utilizzato, come quando dice che ci ama nel modo in cui un marito ama la sua moglie. In questo caso, se il nostro matrimonio è un esempio di un matrimonio salutare, dove regna il rispetto e l’amore, ci stiamo alleando agli insegnamenti di Cristo, e questo aiuta alle persone a capire bene quell’insegnamento in particolare. Quando Dio dice che ci ama come un padre ama i Suoi figli, e noi cerchiamo d’insegnare ai nostri figli in un modo giusto ed amorevole, allora gli insegnamenti di Gesù quando parla di una famiglia unita prendono vita.

Gesù paragonò il Regno dei Cieli ad una festa o celebrazione come descritto nella parabola del figlio prodigo. Una casa piena di musica e balli dove i religiosi rimasero fuori rifiutando di entrare e partecipare alla celebrazione, offesi dalla sfarzosa grazia che aveva portato tutti a divertirsi ed a festeggiare. Quando la musica e i balli sono dentro di noi, ciò significa che ci stiamo alleando con Gesù e che anche noi riveliamo ciò che Lui ha voluto comunicare. Se non viviamo in quel modo, rischiamo d’inquinare il messaggio che Cristo desiderava trasmettere agli altri.

Gesù visse in modo radicale. Ci sono tre punti che vorrei evidenziare, cose che un leader religioso non farebbe mai, ma che Gesù fece. Gesù non è stato un leader religioso ma un rivoluzionario irreligioso. Come affermare che Gesù fosse il Messia promesso quando si comportava in quel modo? Una bella domanda per gli ebrei del primo secolo. Alcuni di loro non lo hanno capito fino a molto più tardi, tipo Giovanni Battista che aveva annunciato Gesù ma dopo ebbe dei ripensamenti a causa del modo bizzarro in cui Gesù scelse di mettersi all’opera: non tramite la spada ma con l’amore, predicando di amare i nemici. Pietro l’apostolo, fu uno dei primi a dichiarare che Gesù non fosse un semplice profeta ma il Cristo, il loro Messia, il Figlio del Dio vivente, Cristo assentì a quelle parole ma poi aggiunse che fosse venuto a morire. A questo punto Pietro li rispose in modo fermo dicendo che non doveva morire perché il ruolo del Messia doveva essere quello di un conquistatore, non di un misero servo sofferente. Da questi dialoghi possiamo vedere come i discepoli capissero certe cose ma mancassero il bersaglio in tante altre. Anche loro non capirono bene tutto fino a molto più tardi.  Forse questo è il processo che anche noi stiamo attraversando, quindi, siamo tolleranti con loro e anche con noi stessi.

Matteo 9 descrive la storia di Matteo, conosciuto anche come Levi. Nella società ebraica le scritture erano scritte in ebraico, la lingua ufficiale era il greco ma la lingua locale per la maggior parte degli abitanti era l’aramaico. Perciò, avere diversi nomi era piuttosto comune in quella cultura, si utilizzava un nome romano con i romani, uno ebraico con le persone locali o leader religiosi e uno greco in altre circostanze.  Matteo era il suo nome romano e Levi il suo nome ebraico.

Luca 5:27: “Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte…” questo era il modo in cui si riscuotevano le tasse. Gli esattori di tasse di solito si sedevano sopra una piattaforma rialzata dietro una bancarella dove le persone che si trovavano tutto intorno riuscivano a vederli bene e si avvicinavano a loro per pagare le loro tasse quando passavano da lì. Di solito sceglievano di posizionarsi vicino all’acqua perché in quella zona uno dei mestieri principali era la pesca, quindi, se qualcuno rientrava con la sua barca ed essa era piena di pesci, la prima persona alla quale dovevano rendere conto era all’esattore di tasse. Come si può intravedere, c’era molta ostilità tra gli esattori di tasse e i pescatori.

Trovo interessante che tra i primi individui a cui Gesù chiese di seguirlo ci fossero un pescatore ed un esattore di tasse. Un ying e un yang. Due tipi di persone che si odiavano. Uno che abusava dell’altro. Gesù incoraggiò entrambi ad andare d’accordo ed a seguirlo. I discepoli riuscivano a lavorare insieme in unità nonostante le loro diversità.

Gesù disse a Matteo: “Seguimi!” Ovviamente Matteo aveva già sentito parlare di Lui e dei Suoi insegnamenti. In quella zona Gesù aveva già causato scalpore con i Suoi diversi miracoli ed era un personaggio conosciuto. E’ probabile che Matteo lo seguisse a distanza e magari che fosse anche andato a sentirlo parlare senza mai immaginarsi di diventare un seguace di Cristo. Questo a causa della sua professione d’esattore di tasse, perché veniva considerato un reietto della sua società e un traditore della fede ebraica. Matteo lavorava per i romani, ricordate che gli esattori di tasse erano tutti ebrei e venivano assunti dai romani per riscuotere le tasse al loro proprio popolo. L’impero romano lavorava in modo molto intelligente e permettevano agli esattori di tenersi parte delle tasse raccolte. Chi svolgeva questo compito era una persona molto benestante ma con pochi amici, diciamo che la maggior parte delle loro amicizie erano altri reietti della società.

Matteo probabilmente desiderava già seguire Gesù ma di certo pensava che ciò non fosse possibile considerando la sua posizione e magari che il Messia sarebbe venuto a condannare persone come lui.  In risposta al “Seguimi” di Gesù leggiamo in Matteo 5:28:”Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì”. E’ interessante notare che il termine greco “Si alzò” è lo stesso utilizzato in Matteo 5:25 dove si parla dell’uomo paralitico che fu guarito. Quell’uomo aveva bisogno di guarigione fisica, invece Matteo aveva bisogno di una guarigione spirituale che aveva a che fare con il denaro.

Matteo dovette lasciar perdere la sua dipendenza dai soldi, dal prestigio, dal potere e anche rinunciare ad una posizione importante che lo rendeva famoso. Ad alcune persone non l’importa essere odiati perché il potere ha un fascino così forte che il fatto di essere odiati da tutti non rappresenta un problema. Detto potere li avvolge al punto tale che non l’interessa altro. Matteo aveva bisogno di questa guarigione e lasciò tutto indietro per seguire Gesù.

Non riesco a descrivervi quanto i personaggi come Matteo fossero odiati. Possiamo paragonarli agli informatori all’interno dei campi di concentramento nazisti; persone che in cambio di favori o di denaro denunciavano i loro compagni di prigionia. Chi svolgeva il ruolo di esattore di tasse veniva scomunicato dalle sinagoghe e dichiarato impuro. Chi toccava o entrava in contatto con uno di loro doveva eseguire un rito di purificazione e poi fare anche un sacrificio.

Gesù fece qualcosa d’insolito, ignorò le tradizioni e si avvicinò a Matteo senza pregiudizi. Cristo iniziò a frequentare quegli strati della società, una cosa scioccante per quel tempo. L’unica consolazione che avessero persone come Matteo, spesso senza amici ne famiglia, era il loro denaro; e lui lasciò tutto senza esitare. Ricordate che una volta fatto quel passo non c’era via di ritorno, Matteo perse ogni speranza di riavere quel posto di lavoro per sempre. I discepoli con il mestiere di pescatori potevano tornare benissimo a pescare. Non era possibile girare le spalle ai romani e poi tornare più tardi dicendo di voler lavorare con loro di nuovo. Matteo bruciò i suoi ponti perdendo ogni possibilità di poter ritornare.

Cosa fece subito dopo aver risposto alla chiamata? Organizzò una festa e invitò i suoi amici con il proposito di presentare a loro Gesù. Che tipo di gente erano gli invitati? Persone che non avevano nulla a che fare con la sinagoga, con la religione o con l’essere “decenti”. Tra gli invitati non c’erano dei romani perché essi si servivano di persone come gli esattori di tasse per compiere il volere dell’impero ma non avevano piacere di interagire insieme a loro, la loro compagnia non era gradita. Quindi, non c’erano dei cittadini rispettabili di nessun tipo in quella festa. Gli invitati erano prostitute, magnacci e ogni sorta di persona che venisse considerata malvagia o impura; dei peccatori. Quella festa rappresentava un alveare di impurità ritualistica. Gesù frequentava questo genere di persone senza nessun problema, si sedeva a tavola con loro e mangiava insieme a loro, condivideva una certa intimità con queste persone.

Luca 5:29 e 30: “Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli:…” il greco per la parola “mormorare” in questo passo vuol dire “lamentarsi, brontolare, borbottare”, essere così arrabbiati o offesi al punto tale di non riuscire a trattenersi e doverlo dire a voce alta. Quindi, i farisei quando hanno formulato la domando erano carichi di molta negatività; volevano sapere cosa stesse facendo il loro maestro.