C’è qualcosa di sorprendente nella narrativa della natività. Nella storia dell’incarnazione e della nascita di Gesù nei Vangeli si intravedono i semi di ciò che sarebbe venuto alla luce durante la Sua vita e nei Suoi insegnamenti, il concetto di un Regno dove le cose sono al contrario. Il messaggio sovversivo di Gesù è intrecciato nella narrativa della natività.

Di seguito menzionerò alcuni degli insegnamenti di Gesù che contengono degli elementi sorprendenti riguardanti il Regno di cui egli è Re. Cristo ha parlato di vivere tramite il morire:

“Poi disse a tutti: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la salverà” (Luca 9:23, 24).

Gesù utilizzò l’analogia della croce in un momento storico nel quale la morte per crocifissione era cosa comune sotto l’occupazione romana.

“… Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la salverà”, si sperimenta la vita tramite il morire, con il prendere la propria croce. Un concetto radicale che possiamo applicare cercando di vivere i Suoi insegnamenti a pieno e così mettere Gesù alla prova e vedere se ciò che ha detto sia vero o no.

Quando ci liberiamo dal peso di dover combattere di continuo per auto conservarci, per ciò che renderebbe la nostra vita più stabile, più sicura e più abbondante; quando lasciamo perdere tutto ciò e scegliamo di donare noi stessi sposando la causa del vivere il Regno di Dio, troviamo una libertà senza paragoni.

Gesù ci ha chiesto di farlo tutti giorni. Prendiamoci un attimo per riflettere…è una lotta che va affrontata ogni giorno con ogni scelta che ci si presenti davanti. Dovremmo scegliere se fare la scelta di auto-conservarci o di “perdere” la nostra vita. Quando scegliamo di donare la nostra vita apriamo la porta all’opera dello Spirito in noi e ci accorgeremo, guardando in riprospetto, di quanta più vita abbiamo e di quanto eravamo morti, prima.

Nella nuova vita che si abbraccia, si è liberi dal peso dell’energia sprecata che ci spinge ad “auto-conservarci”, si è veramente liberi.

Gesù ha parlato anche di governare la nostra vita attraverso il servizio agli altri, un altro concetto che appartiene alla natura del Regno capovolto di Dio.

” Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti i sovrani delle nazioni le signoreggiano, e i loro grandi esercitano dominio su di esse; ma tra voi non sarà così; anzi chiunque vorrà diventare grande tra voi, sarà vostro servo; e chiunque fra voi vorrà essere il primo, sarà schiavo di tutti. Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»” (Marco 10:42-45).

Tra i credenti dovrebbe essere diverso. Il mondo usa il potere, la coercizione, la leadership autoritaria, ma chi crede, dovrebbe rinunciare a tutto ciò, non si dovrebbe combattere per ottenere ciò che la cultura in cui viviamo ci spinge a perseguire. C’è libertà nel rinunciare a tutto ciò, scegliendo invece, di servire. Questo è stato l’errore della chiesa per gran parte della storia. Le domande che le persone si pongono è:

“Come mai la chiesa cristiana non utilizza il potere che ha, nel modo giusto?”;

“Come mai quando si ha il potere e si è a capo di una cultura, si finisce sempre così fuori strada?”

La risposta è perché: “Non è quello che Gesù ha insegnato”.

Gesù non ha insegnato come essere al comando o come utilizzare la coercizione con il potere.

Egli ha detto che appena si accedesse al potere bisognerebbe deporlo, imparare a servire e a non seguire le vie del mondo.

La chiesa si trova spesso ad inseguire il potere e quando lo ottiene cerca di trovare qualcosa negli insegnamenti di Gesù che lo approvi; tuttavia esso non si trova, perché gli insegnamenti di Cristo non vanno in quel verso. Siamo chiamati a rinunciare al potere e a donare la nostra vita al servizio degli altri.

Gesù ha parlato della forza che si trova nella debolezza.

Egli ha chiamato a sé i deboli, i suoi discepoli erano delle persone normali.

“Or noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l’eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi” (2 Corinzi 4:7).

Nella narrativa dell’Antico Testamento, Dio scelse, di volta in volta, persone piuttosto “incasinate”..

Abramo “il padre della fede” presto si rivelò essere l’uomo del dubbio e dell’inganno per salvarsi la pelle.

Gran parte dei patriarchi biblici hanno avuto delle storie che li ha portati del tutto fuori strada.

Mosè, un grande uomo di Dio, che fece ciò che era giusto per quasi tutta la sua vita, commise un errore verso la fine che gli costò parecchio. Dio chiese a Mosè di far uscire acqua da una roccia. Lui invece la colpì in modo drammatico, per dare spettacolo della potenza di Dio. Dio dovette correggerlo, perché era pericoloso lasciare che Mosè agisse come se fosse lui ad avere il potere. Non poteva permettergli di continuare ad essere alla guida del popolo di Israele.

Essere consapevoli di essere deboli, di essere dei “vasi di terra” ci aiuta ad ascoltare da Dio ogni giorno e a chiedere la sua guida nelle situazioni che dobbiamo affrontare.

Dio non può usare chi si ritiene un leader potente. Nella nostra cultura esiste la tentazione di eleggere il leader forte al potere, ma sono delle cose con le quali Gesù non vuole che ci coinvolgiamo. Questo perché, agendo in quel modo, prenderemo anche noi parte di un sistema di coercizione che costringe le persone a fare cose che alimentano meccanismi egoistici. Non è la via di Cristo.

La sfida per noi, mentre contempliamo la narrativa della nascita di Gesù, consiste nel cercare di fare propria la storia. Cosa possiamo imparare? Quando leggiamo delle storie nelle Scritture, è bene domandarsi come possano esse applicarsi nel nostro quotidiano.

“Ora in quella stessa regione c’erano dei pastori che dimoravano all’aperto, nei campi, e di notte facevano la guardia al loro gregge”

(Luca 2:8).

Nella nostra cultura cristiana abbiamo sviluppato un concetto romantico di chi fa il pastore, ci vengono in mente il re Davide nell’Antico Testamento che da piccolo faceva il pastore, o l’analogia di Dio come Pastore del popolo di Israele. Ma verso la fine del Vecchio Testamento e nell’inizio del Nuovo, il mestiere di pastore perse status e non rappresentava più una metafora positiva per diverse ragioni; agli inizi del primo secolo i pastori cominciarono ad essere visti come coloro che vivevano al di fuori dei confini religiosi per via del fatto che avevano difficoltà ad osservare il sabato ebraico. L’essere pastore significava essere impegnato tutto il giorno, sette giorni alla settimana. I pastori facevano dei turni ma in generale non riuscivano a smettere di lavorare tutto il giorno come invece facevano tutti gli ebrei religiosi.

Come mai osservare il sabato era diventato così importante?

Nel periodo tra l’ultimo scritto dell’Antico Testamento ed il Nuovo, nacque in Israele un nuovo gruppo: i “farisei”. Essi incoraggiavano il popolo ad osservare la legge alla lettera (la Torah scritta) alle quali venivano aggiunte le tradizioni orali degli anziani (la Torah orale). Il movimento dei farisei si focalizzava nell’insegnare la Torah orale che consideravano fosse l’unica via giusta per comprendere la legge, e credevano che solo loro fossero in grado di insegnarla agli altri.

Un atteggiamento che spesso vediamo anche ai giorni nostri, quando cerchiamo di spingere le persone ad ascoltare solo i nostri insegnamenti, a leggere solo i nostri giornali, libri o all’ascoltatore solo il pastore della propria chiesa o sacerdote, come fosse l’unico con il messaggio giusto. Quando si ritiene di essere i soli detentori della verità, dovremmo realizzare che è un atteggiamento settario.

I farisei erano così, ritenevano che solo tramite il seguire le loro tradizioni si poteva giungere ad una comprensione più completa delle Scritture. Essi esortavano le persone a seguire la linea dura della legge senza eccezioni, come quella di osservare il sabato come giorno di riposo e tutti gli altri comandamenti e tradizioni contenuti nella Torah. Durante quel periodo storico i farisei erano considerati un modello, il nuovo gruppo santo da emulare, invece i pastori un gruppo

da emarginare.

Questo perché questi ultimi non osservavano il sabato in quanto non in grado di farlo e siccome venivano duramente criticati gran parte di loro smise anche di osservare le altre tradizioni della Torah.

Esistono molti riferimenti storici su questo fatto negli antichi scritti rabbinici, nei quali la professione del pastore veniva sminuita ed etichettata come irreligiosa da parte dei religiosi della rigida ala conservatrice. Perciò nel tempo la professione di pastore finì per attirare degli individui che non desideravano far parte del sistema religioso.

Il fatto che i primi ad essere invitati a celebrare la nascita di Cristo fossero i pastori è qualcosa che dovrebbe farci riflettere. Non i ricchi e i potenti ma degli emarginati hanno celebrato la nascita di Gesù, un altro segno della venuta di una nuova era.

Ai pastori sono apparsi degli angeli, mentre essi erano svegli a fare da guardia al loro gregge. Gli animali custoditi dai pastori di solito servivano al Tempio. Il macchinario del sistema sacrificale religioso andava avanti grazie al contributo dei pastori che assicuravano una costante fornitura di animali che venivano quotidianamente offerti come sacrificio. Chi arrivava da lontano al Tempio, poteva acquistare un animale da offrire come sacrificio così da evitare di doverselo portare. Perciò è molto probabile dal punto di vista storico che i pastori nel racconto della nascita di Gesù stessero custodendo il gregge per il Tempio.

Cristo è l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, il sommo sacrificio. Luca l’evangelista piano piano ci rivela che Gesù fu un perturbatore sin dall’inizio.

Chi sono i “pastori” dei giorni nostri? Quale potrebbe essere un gruppo di persone, considerate emarginate dalla società, e che invece possono comunicarci la Buona Novella o potrebbero esserci da esempio?

“In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. L’angelo disse loro: “Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà”.

(Luca 2:8-10).

Nell’ultimo passo vediamo tre impronte caratteristiche del DNA del Vangelo. Il Vangelo è

Buona notizia

Dovrebbe essere motivo di grande gioia

Ed è per tutti.

Quando proclamiamo o cerchiamo di vivere il Vangelo nelle nostre relazioni dovremmo chiederci:

“sto proiettando i tre tratti caratteristici,

sia nel mio atteggiamento che nelle mie azioni?”.

È incredibile ma spesso osservo in me stesso e anche in altri credenti, che siamo bravi sotto l’aspetto teologico e nel proclamare la verità, ma nel vivere quotidiano proiettiamo un atteggiamento opposto al Vangelo che proclamiamo.

” Il Salvatore, proprio il Messia, il Signore, è nato stanotte a Betlemme!” (Luca 2:11, Bibbia della Gioia).

Il Messia, il liberatore di Israele, l’unto è sia Salvatore che Signore. È importante essere consapevoli del contesto culturale di cui facciamo parte e dei punti deboli e dei punti forti che ciò comporta. Direi che negli ultimi decenni il mondo cristiano protestante è stato incline ad enfatizzare che Cristo è il nostro Salvatore ignorando che egli è il nostro Signore. Spesso si invitano le persone a ripetere la preghiera della salvezza e ad invitare Gesù ad essere il loro Salvatore. Di solito si spiega che la salvezza è un dono della Grazia.

Gran parte degli insegnamenti dall’apostolo Paolo sul tema della Grazia erano indirizzati a dei credenti per ammonirli a non vantarsi o gonfiarsi di orgoglio per il fatto di essere salvi dato che la salvezza è stata offerta a noi in modo gratuito. E difatti è gratuita.

Gesù però ci ha chiamati ad accettarlo come Signore della nostra vita. Cristo ci ha chiesto di seguirlo. La bella notizia è che quando ci mettiamo in cammino e lo seguiamo come Signore, lui diventa anche il nostro Salvatore.

L’enfasi sulla preghiera della salvezza non si trova nel Nuovo Testamento. Invece ciò che si evidenza tra le sue pagine è la chiamata ad unirci ad un movimento contro culturale, ad impegnarci sottomettendoci a vivere seguendo Gesù come Signore. Cristo ci salva da ciò che prima ci teneva prigionieri.

“E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”. E a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:…”

(Luca 2:12, 13).

Non è scritto che cantavano ma è molto probabile. Quindi ricapitoliamo, una moltitudine dell’esercito celeste appare e desidera solo cantare. Riusciamo ad immaginare degli angeli armati con delle armature, scudi e spade, che desiderano solo cantare? Anche questo è un segno caratteristico del Nuovo Regno di Dio. Dei guerrieri celesti compaiono con il proposito di lodare e di proclamare la nascita del Re che avrebbe cambiato tutto, di Colui che avrebbe insegnato una nuova via da seguire: la Via dell’Amore. Non erano apparsi con il proposito di uccidere i nemici come il popolo di Israele si sarebbe aspettato. Ed è questo il loro canto:

“Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini che egli gradisce!” (Luca 2:14).

In quei giorni Cesare Augusto si era preso il merito della Pax Romana e si era auto denominato salvatore, signore, figlio di dio e portatore di pace. La Pax Romana era una realtà molto celebrata nella società di quel tempo. Era proprio quello il contesto storico della nascita di Gesù ed egli è il vero Salvatore, il nostro Signore, il Figlio di Dio, Colui che ha portato la Pace. La pace che avrebbe portato Gesù non sarebbe stata imposta agli altri tramite dei metodi violenti e coercitivi. Infatti, il passo dice che la pace sarebbe stata per gli uomini che Dio gradisce. In altre parole, la pace che Gesù avrebbe portato sarebbe stata per chi avrebbe scelto di seguire la Sua via e di vivere nel modo che Egli avrebbe insegnato.

Chi sceglie di vivere la propria vita cercando di compiacere Dio ha come frutto una pace che sorpassa ogni intendimento, un tipo di pace speciale: pace nella nostra relazione con Dio, pace con gli altri e con la propria psiche.

C’è una palese contrapposizione tra Cesare Augusto il signore dell’Impero Romano, che rappresenta il potere coercitivo, e Gesù il Signore che insegna la via di offrire la propria vita al servizio del prossimo.

“Quando gli angeli se ne furono andati verso il cielo, i pastori dicevano tra di loro: «Andiamo fino a Betlemme e vediamo ciò che è avvenuto, e che il Signore ci ha fatto sapere». Andarono in fretta, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia; e, vedutolo, divulgarono quello che era stato loro detto di quel bambino. E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori”

(Luca 2:15-18).

I pastori furono i primi evangelisti, i primi proclamatori del messaggio.

“Maria serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato loro annunciato” (Luca 2:19, 20).

Maria e i pastori ebbero delle reazioni diverse. I vangeli ci dicono che la madre di Gesù serbò in sé tutte quelle cose, le meditò rimanendo fedele alla sua chiamata. “Serbare in sé” e “meditare” nel greco originale significa che stimava molto ciò che gli era stato detto ma che al tempo stesso era perplessa da tutto ciò che le stava accadendo. Maria si trovava nel posto giusto e Dio si stava avvalendo di lei. Non c’era niente di sbagliato in ciò che lei stava facendo. Infatti tutto era in linea con il piano di Dio e Lui ne era compiaciuto ma lei era ancora perplessa cercando di comprendere il tutto.

Una posizione giusta, perché Dio si può avvalere di noi in modi straordinari anche quando non riusciamo a comprendere il quadro completo del Suo piano.