La Pèsach o Pesah, detta anche Pasqua ebraica, è una festività che dura otto giorni e che ricorda la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa. Prima della festività, gli ebrei ogni anno erano tenuti a pulire ogni angolo della loro casa e di spazzare via il lievito. L’apostolo Paolo consigliò di utilizzare quella procedura come una metafora visiva di ciò che dovremmo fare ogni giorno a livello individuale e anche come comunità. Il lievito è un’illustrazione molto accurata di come il peccato può influenzarci. Il lievito aggiunto all’impasto formato da farina e da acqua, trasforma tutto il preparato, in quanto questo agente attivo ne aumenta sempre di più il suo volume. Anche il peccato come il lievito cresce senza freni, ha il potenziale di influire potentemente nella nostra vita e di conseguenza intaccare anche la comunità. Il peccato ha una natura corrosiva.
La dottrina della grazia ci insegna che quando ci avviciniamo a Cristo siamo rinati ad una nuova vita e trasformati; il nucleo di chi siamo, cambia. Non siamo degli esseri divisi in due, metà buoni e metà cattivi, da una parte un angelo e dall’altra un diavolo sempre in conflitto. Ciò che accade è che il nostro spirito viene rigenerato e rinnovato dando vita ad una nuova creazione, siamo rinati e il nostro spirito diventa nuovo. La nostra carne viene allontanata dal centro del nostro essere e sostituita dallo Spirito di Dio che risiede in noi da quel momento in poi.
La battaglia per la moralità si traduce in un combattimento spirituale per riuscire a vivere dal centro del nostro cuore con l’aiuto di Dio. Il processo che consiste nel cercare di conformarci alla moralità per motivi religiosi rischia di non influenzare mai il cuore umano. Siamo chiamati a coltivare la fede, e a credere. La relazione di fiducia con lo Spirito di Dio è ciò che apre le porte del nostro cuore a Lui così che possa operare in noi miracoli di trasformazione. Questo approccio nuovo-testamentale riguardo all’etica ci distingue in modo drammatico da tutte le altre religioni del pianeta; siamo consapevoli che ci renda unici.
“Nessuna religione sulla faccia della terra insegna che ci sia un iniziale miracolo trasformativo interiore che accade in questa vita. Ogni altra religione insegna dei percorsi che aiutano l’individuo ad ottenere un tipo di salvezza che di solito accade dopo la morte. Il credo cristiano è l’unico a sostenere che tale miracolo accada in questa vita e che la vita eterna inizia da adesso”. (Ravi Zaccarias, teologo, saggista e predicatore indiano naturalizzato canadese). Il concetto del nascere di nuovo se utilizzato da altre religioni sarebbe l’illustrazione perfetta di ciò che accade all’essere umano dopo la morte; si rinasce in tutta una nuova forma di esistenza sia che uno si rincarni o che sia trasportato ad una nuova dimensione o livello.
Gesù utilizzò l’analogia della rinascita sostenendo che non accadesse dopo la morte, ma ora. Da questo momento Dio ci ricrea e ci fa rinascere in modo soprannaturale spiritualmente, la vita eterna inizia da ora per chi crede. La Bibbia parla della rinascita utilizzando un tempo verbale passato. Nessun altra religione insegna che tale miracolo sia possibile in questa vita al di fuori del cristianesimo. Le etiche cristiane consistono nel cercare di vivere e mettere in pratica ciò che Dio ha già messo in atto nel nostro essere. Il nostro motto è il seguente: “Siamo liberi di essere chi siamo”. Quindi cerchiamo di diventare ciò che siamo con Gesù, iniziamo a cercare di vivere allineandoci con chi siamo nati per essere. La cosa bella è che quando scegliamo di dire no a ciò che non dovremmo fare e di sì a ciò che dovremmo, possiamo sperimentare di persona come la nostra vita inizia a prendere la forma di chi sentiamo di essere nel nostro cuore con Gesù. Si sente la soddisfazione e gratificazione di essere allineati con ogni strato di chi siamo in realtà. Le parti nascoste e non del nostro essere iniziano ad allinearsi e si diventa degli esseri completi.
Fare delle scelte giuste e indirizzarci verso Gesù nella nostra vita, ha il vantaggio di assicurarci che non si stia vivendo una doppia esistenza ma una vita singolare e pura. Si diventa chi dovremmo essere. Vorrei incoraggiare chi è incerto e sta affrontando delle battaglie in questo campo che se facciamo delle scelte giuste, ci aspettano delle esperienze meravigliose. Ci sentiremo più vicino a ciò che dovremmo essere e la parte di noi che ha difficoltà si allineerà a suo tempo.
Avere delle relazioni positive con gli altri aiuta molto nel aiutarci a diventare chi dovremmo essere. Ho guardato un programma in tivù chiamato “Intervento” dove degli amici o persone vicine a chi ha dei problemi grossi si radunano per parlare tutti insieme al loro caro con amore. Uno dei fattori importanti del programma e di una riuscita positiva dell’intervento è che chi partecipa sia vicino alla persona in difficoltà o qualcuno che lui o lei ammira e rispetta e che sa di essere voluto bene da loro. Partecipa anche chi sia stato ferito dal suo comportamento. Un intervento del genere tiene a bada l’aspetto creativo dell’individuo che è stato sabotato dalla carne, quella parte in lui o lei che facilmente inventa delle scuse e fa a scaricabarile. E’ un momento in cui l’individuo è forzato a dare ascolto a tutto un gruppo di amici e cari che stabiliscono in modo chiaro che non siano loro ad avere dei problemi nell’aspetto evidenziato ma lui o lei, e che le sue azioni stiano danneggiando sia se stesso che gli altri attorno a se. Agire in quel modo dà l’opportunità a quella persona di cambiare. Non sempre fanno la scelta giusta ma l’intervento rappresenta l’ultima fase di un processo continuativo che finalmente rende chiaro all’individuo che si stia provando nel miglior modo possibile tramite una terapia di impatto relazionale ad aiutarlo ad aprire gli occhi e realizzare ciò che sta combinando. I partecipanti all’intervento esprimono che non possono più andare avanti facendo finta che tutto sia a posto o di continuare a confrontarlo senza vedere dei risultati perché agire in quel modo non fa altro che creare uno schema ripetitivo di litigi che non portano a nulla di buono. Anzi, permettere che uno schema disfunzionale persista nel tempo fa di loro dei facilitatori del problema dell’individuo e così, dopo l’intervento si aspettano di vedere dei cambiamenti. Quando esiste una relazione di amore percepita dall’individuo da parte dei suoi parenti, cari e amici, l’intervento di solito è potente.
Nel contesto della chiesa cristiana (l’insieme dei credenti), il processo dell’intervento è uno dei modi per dimostrare amore. Ciò accade soltanto quando si è portato avanti una relazione di famiglia allargata dove si sia cercato personalmente di sfidare, parlare con il cuore, e cercare di mostrare all’individuo come stia facendo del male a se stesso e agli altri. Quando l’individuo non dà ascolto, eventualmente un cerchio ristretto di amici di fede può approcciarlo per rendere chiari i punti chiave che dovrebbe cambiare nel suo comportamento altrimenti ci sarebbero delle conseguenze. Gesù insegnò questo principio:
“«Ora, se il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolta, tu hai guadagnato il tuo fratello; ma se non ti ascolta, prendi con te ancora uno o due persone, affinché ogni parola sia confermata per la bocca di due o tre testimoni. Se poi rifiuta di ascoltarli, dillo alla chiesa; e se rifiuta anche di ascoltare la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano” (Matteo 18:15-17).
Nel contesto della Prima Chiesa, il corpo della “chiesa” era un piccolo insieme di credenti che di solito si radunava in una casa. Dopo aver parlato con l’individuo come comunità e lui si rifiuta di ascoltare, solo a quel punto si rende necessario spiegare a lui o lei che non si può più continuare a considerarlo un fratello o sorella nella fede perché è chiaro che non sia più così. Se non si fa quel passo si diventa dei facilitatori. Quindi per amore (non da giudici dell’anima di quella persona) si sceglie di non continuare a fare finta che non sia successo nulla e che tutto vada bene quando non è per niente così. Continuare ad andare avanti come se niente fosse sarebbe accettare l’ipocrisia. Questo processo non ha un nome preciso, ogni chiesa e denominazione la nomina come desidera. I cattolici la chiamano scomunicazione e altre denominazioni lo chiamano “bandire”, “espellere”, “disciplina della chiesa” e tanti altri appellativi.
La disciplina della chiesa consiste nel processo di vivere insieme e di avere a cuore confrontare i fratelli per aiutarli. A volte un processo del genere può durare degli anni. Chi di solito mette in pratica questo processo sono degli individui che sono vicini a chi ha delle difficoltà e lo hanno a cuore, non da un comitato della chiesa che non lo conosce. E’ un processo organico da parte di chi conosce la persona, gli vuole bene ed è disposto a camminare insieme e coinvolgersi nella vita di lui o lei.
L’apostolo Paolo consigliò ai credenti di Corinto di coinvolgersi a vicenda nella vita gli uni degli altri come veri fratelli e sorelle:
“Si ode dappertutto dire che tra di voi vi è fornicazione…” (1 Corinzi 5:1).
Il termine “fornicazione” utilizzato in questo passo è “porneia” nel greco originale e veniva utilizzato in riferimento a qualcuno che si serviva della prostituzione. In seguito il termine “fornicazione” assunse il significato di qualsiasi altra attività sessuale al di fuori del matrimonio. Chi segue il pensiero della “porneia” nel suo contesto culturale ritiene che il sesso ed il matrimonio siano delle attività separate non per forza allineate.
“Si ode dappertutto dire che tra di voi vi è fornicazione, e una tale fornicazione che non è neppure nominata fra i gentili…” (1 Corinzi 5:1).
Nel contesto culturale greco del primo secolo a Corinto il motto era: “tutto ciò che accade a Corinto rimane a Corinto”. Era un luogo dove andava bene tutto per così dire. Quindi pensare che solo oggi ci siano dei problemi del genere e che i primi cristiani non hanno dovuto affrontare ciò che stiamo affrontando noi, è un pensiero piuttosto adolescenziale che fa venire a galla la nostra creatività malata. La nostra creatività che ci dice che tutto sia più difficile per noi nella nostra società e momento storico. In questi passi, si scopre tutto ciò che hanno dovuto affrontare i primi credenti, Corinto era una città di eccessi.
La chiesa di Corinto ebbe maggiore difficoltà confronto a noi nel cercare di vivere uno stile di vita cristiano. Anche nelle loro circostanze culturali di Corinto, le Scritture chiamavano a vivere uno standard alto. L’apostolo Paolo proseguì il suo discorso ammonendo le comunità a Corinto evidenziando l’abuso del concetto della grazia che era arrivato al punto tale di tollerare e perfino celebrare la loro libertà in Cristo mettendo in atto un comportamento sessuale che perfino i gentili nel loro contesto culturale ritenevano fosse sbagliato. Il passo continua:
“…cioè che uno tiene con sé la moglie del padre” (1 Corinzi 5:1).
C’era un fratello che portò via la moglie di suo padre e la risposta della chiesa a Corinto fu: “la grazia ci basta, non giudichiamo, tutto va bene”. Perfino i pagani si chiedevano se la loro fede conducesse ad atti sbagliati del genere.
“E vi siete addirittura gonfiati e non avete piuttosto fatto cordoglio, affinché colui che ha commesso una tale azione fosse tolto di mezzo a voi” (1 Corinzi 5:2).
Invece i credenti si erano concentrati a celebrare la loro libertà in Cristo senza avere nessun riguardo.
L’apostolo Paolo in seguito come in altre occasioni evidenziò il peccato di natura sessuale per catturare l’attenzione degli ascoltatori e per poi rimarcare che altri peccati che spesso sembrano insignificanti possono essere ugualmente contagiosi e corrosivi. Il tema del sesso continua ad attirare l’attenzione anche ora. Il punto centrale non era l’individuare quale peccato affrontare per poter applicare la disciplina della chiesa o il categorizzare i peccati ma piuttosto l’evidenziare la mancanza di pentimento accompagnata dall’ipocrisia. A prescindere dal peccato, il sunto era che c’erano delle persone che sapevano di dover comportarsi meglio ma avevano scelto di fare l’opposto inventando delle scuse anche dopo essere stati sfidati e confrontati. C’era dell’ipocrisia causata da un continuativo non pentirsi in modo ostinato dei loro sbagli.
“Ora io, assente nel corpo ma presente nello spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha commesso ciò. Nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, essendo riuniti assieme voi e il mio spirito, con il potere del Signor nostro Gesù Cristo, ho deciso che quel tale sia dato in mano di Satana a perdizione della carne, affinché lo spirito sia salvato nel giorno del Signor Gesù” (1 Corinzi 5:3-5).
La disciplina della chiesa non è punitiva o uno storno dei conti. Non siamo i giudici del destino eterno delle anime, quel compito appartiene soltanto a Dio. Se osserviamo bene nel passo appena letto, anche a quel punto, le azioni che vengono messe in atto hanno come fine la speranza di poter salvare quella persona. La disciplina non è punitiva ma ristorativa. L’apostolo Paolo si espresse in modo simile anche in questo passo:
“Tra questi vi sono Imeneo e Alessandro, che io ho dato in mano di Satana, perché imparino a non bestemmiare” (1 Timoteo 1:20).
“Dare in mano a Satana” significava lasciare che quelli individui vivessero a pieno nel reame del mondo. Significava smettere di essere dei facilitatori per i peccati di quella persona come comunità di fede e di lasciare che fossero come dei figli prodigi. Significava permettere che quella persona toccasse il fondo, qualcosa che molti hanno bisogno di sperimentare prima di cambiare per il meglio. Ironicamente quando Satana collabora insieme all’individuo a rovinare il suo corpo, (un compito che non gli appartiene) inconsapevolmente viene utilizzato da Dio per compiere il bene perché Dio è Signore e Re di tutto.
“l vostro vanto non è buono. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via dunque il vecchio lievito, affinché siate una nuova pasta, come ben siete senza lievito; la nostra pasqua infatti, cioè Cristo, è stata immolata per noi” (1 Corinzi 5:6, 7).
Gesù diventa il nostro peccato e noi diventiamo la giustizia di Dio in Cristo Gesù, una nuova creazione, grazie a quel fatto siamo considerati “senza lievito”. L’apostolo Paolo stava cercando di portare i credenti a non conformarsi soltanto a degli schemi morali ma a prendere visione della loro vera identità. Sarebbe stato molto più facile per lui se avesse scelto di dare loro una formula precisa da seguire per cambiare. Lui consigliò ai cristiani di Corinto di togliere il vecchio lievito dalla loro vita (un’illustrazione vivida del peccato) rimarcando che fossero già “senza lievito”. In altre parole è come se avesse detto: “sbarazzatevi del peccato nelle vostre vite perché siete già senza peccato”. Stava cercando di rivolgersi a chi aveva aperto il Suo cuore, a chi aveva la presenza dello Spirito Santo nel suo essere ricordando loro che fossero puri di natura.
Segue parte 2
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