I diversi disturbi mentali argomento di questa lettura saranno trattati in modo tale da offrire una panoramica generale che di fatto, non sarà molto approfondita. Infatti questa serie, non ha lo scopo di approfondire tutti i disturbi mentali ma quello di raccontare storie personali di diverse persone che hanno avuto questo tipo di problematiche, le quali ci aiuteranno a comprendere come creare una migliore famiglia di fede, in quanto capace di immedesimarsi nelle vite altrui.
Una delle più conosciute patologie neurologiche da cui il  nostro cervello può essere affetto è nota come “schizofrenia” ed un gran numero di persone afferma di avere paura a frequentare qualcuno che soffra proprio di questo genere di malattia mentale.

Tuttavia è comprensibile che ci si possa sentire a disagio, quando si è accanto a qualcuno, il cui comportamento non sempre si riesce a capire. Di solito si tende a non comunicare con
queste persone perché si teme di dire qualcosa di sbagliato per cui, si finisce con l’allontanarsi da loro. Questo comportamento peggiora la situazione, genera ancora di più ambiguità, impedendoci di voler bene e rendendoci inclini a “stereotipare” gli altri. Ciò si manifesta attraverso il pregiudizio che ci divide, invece di farci agire nell’unità. A tal proposito, parte di ciò che la chiesa può fare è accogliere anche coloro che soffrono a causa di malattie mentali spronandoci ad avvicinarci di più a loro, non escludendoli, esortandoci nell’ amore a conoscerli meglio e non a creare separazione tra noi e loro. In questo modo si riuscirà dunque, a sconfiggere la paura del “diverso”.

Sono molto felice di vedere che ciò da me professato, venga messo in pratica nelle nostre comunità di fede.
La schizofrenia è una malattia mentale di una certa gravità,  coinvolge su scala mondiale il 7% della popolazione, ciò vuol dire che una persona ogni 150 ne è affetta. Quindi è possibile che diverse persone soffrano di schizofrenia, ovviamente chi ha questo problema coinvolge la propria famiglia, i propri amici.
Penso dovremmo mantenere la nostra attenzione sull’obbiettivo di diventare una comunità di supporto per le persone che soffrono di questo tipo di disturbo e per quelle famiglie ed amici che ne sono indirettamente coinvolti. Dunque dovremmo iniziare a fare del nostro meglio per incoraggiarli.


Cenni brevi sulla schizofrenia

Coloro che soffrono di questo disturbo hanno delle allucinazioni, sentono delle voci o vedono delle cose che non esistono, fissandosi su concetti privi di veridicità.

In particolare, ci sono alcuni soggetti che hanno l’impressione di essere odiati e che ci siano delle cospirazioni o che qualcuno abbia qualcosa contro di loro. Spesso si trovano a dover combattere contro ciò che la mente presenta loro come verità. In altri casi ancora, sentono delle voci e queste voci potrebbero accompagnarli ovunque. 

Tutti noi abbiamo una voce interiore, ma chi soffre di schizofrenia sente una voce dall’esterno che parla loro costantemente senza mai smettere. Riuscire a concentrarsi su di una conversazione per uno schizofrenico, è una sfida enorme.

Chi desidera guarire segue una terapia farmacologica facendosi seguire da uno psichiatra o neuro-psichiatra, fermo restando che ha comunque bisogno del sostegno da parte della sua famiglia, dei suoi amici e dalla comunità.

A questo punto per noi che apparteniamo a quest’ultima, è bene ricordare quanto essi siano preziosi e quanto sia importante accettarli appieno, offrendo loro un luogo spirituale, dove possano sentirsi liberi di esprimere ciò che stanno vivendo.
Di seguito includeremo un’intervista della mia amica Silvia. Lei iniziò a sentire delle voci che le parlavano sin dall’età di tredici anni. Durante la sua adolescenza poi, quelle voci diventarono sempre più forti e negative. Silvia, continuò ad avere questo problema, a tutt’oggi che è adulta, è disturbata sempre da quelle voci, anche durante l’intervista che seguirà a breve. I farmaci che assume, riescono ad abbassare il volume delle voci ma non sono mai assenti. Ogni schizofrenico ha dei sintomi diversi, ma per lei si tratta sempre e comunque di voci negative che la fanno sentire sempre giudicata e condannata. Immaginate di avere costantemente accanto a voi i vostri peggiori nemici, che vi urlano contro, nelle vostre orecchie. Grazie all’aiuto della sua famiglia che veniva a sua volta appoggiata dalla loro comunità di fede, Silvia riesce a vivere meglio la sua situazione. Lei dichiara il suo valore e sa che Dio la ama, è diventata più amorevole con gli altri, non si mette più in disparte. Ha deciso di seguire l’esempio di Gesù e cerca di dare quello che può al suo prossimo. Io conobbi Silvia dieci anni fa, aveva letto il mio libro e mi contattò tramite Facebook e poi divenne parte di the “Meetinghouse”. Lei cerca mediante la preghiera di benedire gli altri, esortandoli ed incoraggiandoli lì dove può. Abbiamo chiesto a lei durante l’intervista quale fosse la lezione più importante che la chiesa dovrebbe imparare riguardo questo tema e quindi, in che modo può migliorare. L’intervista riportata qui di seguito è la risposta a quella domanda.

Inizio intervista

Intervistatore: “Quando la chiesa fu coinvolta dalla tua situazione cosa fu di aiuto e cosa no?”

Silvia: “La cosa che aiuta di più nel mio caso è quando le persone mi mandano dei messaggi per chiedermi come sto dicendomi che sono nei loro pensieri. Ho degli amici che addirittura mi hanno spedito dei fiori ogni tanto, un gesto molto carino da parte loro. Quindi mi sento amata. Una cosa che non aiuta per niente, (e questo lo dico comprendendo anche che chi lo ha fatto lo fece in buona fede), è quando gli altri sono a conoscenza della mia situazione e del mio desiderio di stare da sola e smettono di farmi degli inviti. Per me il fatto di essere invitata anche se non sono in grado di partecipare mi fa sentire inclusa, accolta e voluta bene. Per chi ha problemi come me è di grande aiuto essere invitati, perché ci fa sentire non soli.
La mia fede in Dio mi ha aiutata a comprendere il mio valore anche se non riesco a lavorare o a fare tante cose come vorrei. So che per Gesù sono importante e che Lui può servirsi di me, per raggiungere altre persone. Anche se non riesco a stare in un contesto sociale nel modo in cui desidero, posso essere lo stesso un canale d’amore per gli altri. Incoraggerei altri credenti ad appoggiarsi sulla loro fede perché nella mia esperienza, Dio si è dimostrato sempre fedele e ci aiuterà sempre a superare gli ostacoli ed i momenti difficili.”

Intervistatore: “Lei per me è un’eroina perché deve affrontare di continuo la tentazione di distrarsi, di buttarsi giù e rendersi inattiva; lei invece, sceglie di amare tutti i giorni.”

Fine dell’intervista


Dunque siamo amati da Dio e abbiamo tutti un valore, per cui nessuno viene messo da parte. Dio desidera accompagnarci e camminare insieme a noi, ognuno di noi è un membro importante della nostra comunità di fede. Coloro che affrontano questo tipo di battaglia psichica, sono delle persone dalle quali noi tutti possiamo imparare. Non dovrebbero sentirsi emarginati rispetto agli altri ma parte integrante della nostra stessa famiglia di fede. Queste persone ci aiutano a dare più valore alle cose importanti, che meritano di essere delle priorità nella nostra vita.

Il concetto che Dio valorizzi la debolezza è molto importante perché quando siamo troppo indipendenti o crediamo di essere fortissimi, iniziamo a dare troppa considerazione ai nostri propri pensieri, tendiamo ad essere meno aperti a ciò che Dio ci sta mostrando, cominciamo ad ignorare chi è più debole e a perdere la nostra sintonia con Cristo. Il nostro Dio Altissimo nella persona di Gesù scelse di nascere umano e di mostrarsi nella sua debolezza.  L’evento della venuta di Cristo ed il Suo ministero sulla terra fu un riflesso di quella scelta. Lui, il Re di un nuovo Regno salì sul Suo trono ossia la croce, un luogo di debolezza dando l’impressione che i suoi persecutori fossero i potenti. Gesù inoltre, scelse delle persone normali come i suoi discepoli i quali non tutti erano alfabetizzati ed istruiti in particolar modo, in quanto alcuni di loro erano degli umili pescatori.

Tramite quella debolezza ed apertura mentale Gesù costruì un nuovo tipo di comunità.

Dopo la Sua risurrezione, Gesù chiamò a se un nuovo discepolo, l’apostolo Paolo, una persona molto diversa dagli altri suoi seguaci. Lui era molto strutturato dal punto di vista accademico, era una persona che godeva di una notevole influenza sociale, possedeva tutti i requisiti per rappresentare la forza e quindi è interessante che Dio avesse permesso che la debolezza toccasse la sua vita per aiutare a renderlo più utile per la creazione del Regno di Dio.

L’apostolo Paolo fece riferimento a questo concetto, diverse volte nei suoi scritti.
Nella lettera di 2° Corinzi, l’apostolo Paolo elencò parte della sua genealogia spirituale, qualcosa che lo avrebbe tentato a vantarsi, incluse anche delle esperienze spirituali, tutte cose che avrebbero potuto metterlo in risalto rispetto agli altri discepoli di Gesù. Tuttavia egli disse: “perché io non avessi a insuperbire per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca” (2 Corinzi 12:7).

Il termine “spina” nel greco originale è “picchetto”, oggetto utilizzato per costruire delle recinsioni difensive nel campo di battaglia o messo nel fondo di una fossa per impalare il nemico. Quando l’apostolo Paolo parlò di avere una “spina nella carne” si riferiva a qualcosa che faceva molto male, era causa di grande dolore. Paolo non disse che fosse stato Dio a procurargli quel dolore, non lo attribuì a Dio direttamente, ma disse che fu stato dato a Lui senza lasciar chiaro chi fosse stato. Sembra che alla fine Dio avesse utilizzato tutto, incluso la sua spina nella carne per il bene. “Or noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo proponimento” (Romani 8:28).
La promessa per noi non è che Dio sia la causa di tutto il male ma che in tutte le cose, Dio può mettersi all’opera e lavorare per il nostro bene. Se affidassimo pienamente la nostra vita a Dio, lui si unirebbe a noi e collaborerebbe per far sì che tutto portasse a raccogliere un buon frutto, dunque per il nostro bene.

Nel caso dell’apostolo Paolo, Dio avrebbe potuto rimuovere la sua protezione  consentendo a Satana di trovare una porta aperta e quindi di attaccarlo, ma Dio alla fine utilizzò tutto quanto per il suo bene.
Il termine “schiaffeggiarmi” nel greco originale è “un colpo inflitto con la nocca delle mani”, cioè con un pugno. Lui stava dicendo che la sua spina nella carne era come avere un picchetto impalato nel corpo o come ricevere dei pugni. Nessuno sa di sicuro cosa fosse la “spina nella carne”, magari potrebbe essere stata una malattia mentale, fisica o di altro tipo; potrebbe essere stato il fatto di essere vittima di persecuzioni continue o altro, ma ciò di cui siamo certi è che il principio si può applicare a tutti noi. L’apostolo Paolo subì un attacco satanico ma questo non significa che tutto ciò che accade nella nostra vita lo sia. Ciò che è chiaro però è che siamo sotto attacco. 

“Siate sobri, vegliate, perché il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare” (1 Pietro 5:8).

I leoni di solito attaccano gli animali che si allontanano dalla loro mandria. Satana potrebbe sfruttare i nostri punti deboli come una malattia mentale o fisica, una separazione relazionale o qualsiasi altra cosa che gli dia l’occasione di attaccarci. 
Dio non ci ha chiesto di affrontare questi attacchi e dare dimostrazione di quanto siamo forti. Lui desidera che diventiamo deboli così che possiamo trovare il nostro appoggio in una potenza diversa: il potere soprannaturale di Dio che si trova in comunità quando ci avviciniamo l’uno all’altro. “A questo riguardo ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza»” (2 Corinzi 12:8,9).

 L’apostolo Paolo chiese di essere guarito e che Gesù portasse via il suo dolore ma lui rispose dicendo che, il dolore sarebbe rimasto e che ciò lo avrebbe aiutato ad appoggiarsi sulla grazia di Cristo. Gesù offrì la sua grazia che si traduce come l’essere accettati in modo incondizionato, di essere accolti senza dover dimostrare nulla.

 Tanti di noi, (particolarmente all’interno dei circoli religiosi) soffriamo della sindrome dell’approvazione basata sulla prestazione. Chi ha questo problema pensa di dover compiere delle opere per poter riuscire a compiacere Dio ed essere accettato da Lui e dalla famiglia di fede.

 La chiesa dovrebbe essere esattamente l’opposto, dovremmo riflettere la grazia e l’accoglienza. In un ambiente del genere, le persone riescono ad essere chi sono in modo aperto e onesto e a non nascondere le loro debolezze ed inadeguatezze.

Gesù ci insegna che più siamo forti in noi stessi, più capaci e pieni di successo esternamente, più saremo tentati ad agire da soli, a promuovere noi stessi ed a far credere di riuscire a fare tutto. Questo era il caso dell’’apostolo Paolo e quindi Dio permise che avesse una debolezza affinché si appoggiasse sulla grazia di Dio.
L’energia divina che si manifesta tramite la vulnerabilità ci indica che la sua potenza viene manifestata nella debolezza.

Gesù chiamò l’apostolo Paolo ad essere un leader debole e vulnerabile, tramite le sue parole stava cercando di insegnare al resto della comunità, quanto da lui stesso appreso con il passare degli anni. L’apostolo Paolo scrisse che tutti noi facciamo parte del corpo di Cristo e che abbiamo un ruolo diverso da svolgere, come le diverse parti del corpo fisico. “E l’occhio non può dire alla mano: «Io non ho bisogno di te»; né parimenti il capo può dire ai piedi: «Io non ho bisogno di voi». Anzi, le membra del corpo che sembrano essere le più deboli, sono molto più necessarie delle altre” (1 Corinzi 12:21, 22). In altre parole, ha detto che esistono delle parti del corpo che sembrano non avere alcuna funzione rilevante o particolare, ma che in realtà sono di vitale importanza come il nostro fegato, pancreas, etc. Quegli organi nascosti non compiono delle funzioni appariscenti come le nostre mani o piedi ma sono degli organi vitali. L’apostolo Paolo stava cercando di insegnare che le comunità cristiane dovrebbero adottare quell’atteggiamento verso coloro che soffrono, coloro che sono deboli e valorizzarli come strumenti preziosi della nostra famiglia di fede. Questo è un invito a tutti coloro che si sentono deboli, ad avvicinarsi perché siete delle perle preziose!