6. Teniamo la chiesa pura tramite il discepolato e la disciplina; “la regola di Cristo” basata sugli insegnamenti nel Vangelo di Matteo 18:15-20 e non tramite l’imprigionamento, la tortura o le esecuzioni. Questo concetto potrebbe sembrare ovvio, ma in quei giorni pensarla così rappresentava l’essere radicali. Non si trattava soltanto di disciplina ma di discepolato vero e proprio. Lo Spirito Santo è stato donato a tutti e desidera parlare attraverso tutti. Perciò quando ci formiamo individualmente, impariamo le Scritture e cerchiamo di applicare la disciplina alle nostre vite; si matura come discepoli ma anche come individui in grado di aiutare a loro volta, altri discepoli. Il fatto di essere più chiari riguardo ciò che lo Spirito Santo ci comunichi, fa sì che perfino il nostro aumento nella fede, diventi un dono per la chiesa stessa. Il discepolato della “terza via” si distinse dai protestanti e dai cattolici di quel periodo. Quando qualcuno si allontanava dal vivere come Cristo, allora la disciplina che la chiesa applicava era quella di ignorarlo e di comunicargli che non avrebbe più potuto far parte della loro comunità di fede.
7. Si sperimenta Dio e la Sua grazia di più tramite piccoli gruppi e non tramite i sacramenti o negli incontri religiosi domenicali. Una citazione della “terza via” dice: “Io credo che i piccoli gruppi di persone siano la miglior cosa che sia mai accaduta nella chiesa dai tempi della Riforma. La Riforma protestante mise la Bibbia alla portata delle persone comuni e i piccoli gruppi mettono il ministero nelle mani delle persone comuni”. I servizi domenicali sono qualcosa di bello ma non rappresentano la migliore espressione di chiesa da un punto di vista anabattista. Dovremmo metterci in una posizione in cui qualcuno insegni ma anche che tutti gli altri, possano contribuire all’insegnamento. Sia che questo accada in un incontro o in più incontri durante la settimana, cerchiamo di farlo. La nostra comunità di fede si esprime attraverso le chiese in casa e lo consideriamo il nostro DNA. Non siamo una chiesa che ha un programma di chiesa in casa ma il contrario, siamo una comunità di chiese in casa che svolge un programma domenicale di tanto in tanto. La cosa più importante per noi in questo momento consiste nel dare e nel ricevere attraverso gli incontri in casa.
8. Quando la chiesa diventa più come una famiglia piuttosto che una gerarchia istituzionale, le donne diventano dei membri con gli stessi diritti degli uomini. Quando la chiesa è strutturata seguendo un modello gerarchico allora i passi nelle Scritture che dicono che le donne non dovrebbero rivestire dei ruoli importanti all’interno delle comunità di fede, come insegnanti o cose del genere, diventano un punto di scontro. Esistono due posizioni diverse dallo stile di leadership autoritario, uno consiste nel seguire uno stile a cerchio più familiare dove gli uomini e le donne hanno diversi ruoli e responsabilità. L’altra posizione è più egualitaria sostenendo che tutte le persone sono uguali davanti Dio e in Cristo. Perciò tutti sono responsabili di utilizzare i loro doni e di ubbidire la loro chiamata per la gloria di Dio e sono chiamati a rivestire diversi ruoli e ministeri senza tener conto della loro classe sociale, sesso o razza. Nel modello di chiesa a cerchio familiare, domande riguardanti il ruolo della donna e quesiti del genere non sono così rilevanti perché tutti i membri sono chiamati a contribuire.
Le donne sono sempre state incluse nella leadership della “terza via”; non si persero in lunghi dibattiti teologici del tipo: “può una donna rivestire il ruolo di pastore o prete?” E’ stato un tema piuttosto pratico: la chiesa era come una famiglia, il cerchio della chiesa rappresentava il fatto che ogni membro era tenuto a contribuire in qualche modo.
I cristiani della “terza via” scelsero di concentrarsi nel discutere la teologia di ciò che significasse essere “chiesa” e come avrebbe dovuto operare piuttosto che perdersi in dibattiti del genere. Quel cambiamento a livello pratico aprì le porte ad un’immediata inclusione di donne che poi sono diventate famose per la loro evangelizzazione e per la loro partecipazione al modello della chiesa. Questo non fu il caso nelle chiese di fede protestante o cattolica.
Questa è la nostra provenienza. La “terza via” all’inizio si incontravano nelle grotte, nelle foreste e poi nelle loro case. Quando fuggirono dall’Europa ad altri continenti essi continuarono a radunarsi nelle loro case anche se non erano perseguitati perché per loro la chiesa doveva essere vissuta come una famiglia. Quando finalmente uscirono dalle loro case e dai loro granai iniziarono a costruire un palazzo dove la chiesa poteva radunarsi; tuttavia non vollero chiamarlo “chiesa” ma “case dove radunarsi”, la “casa” della loro famiglia spirituale. La nostra realtà moderna, chiama le loro chiese “Meetinghouse” e il nostro nome proviene da lì. L’idea di chiesa come qualcosa di meno formale e più partecipativa permise al movimento della “terza via” di crescere velocemente senza doversi regolare in termini di permessi con le istituzioni perché semplicemente non si esprimevano con cattedrali o enormi luoghi di culto. Essere liberi da questi pesi permise loro di essere liberi di spostarsi ovunque senza problemi come sta accadendo anche ora con le diverse comunità di fede che sono parte di the Meetinghouse in qualche modo intorno al mondo.
Nei passi che leggeremo, l’apostolo Paolo cercò di aiutare i Corinzi a capire ciò che significasse essere chiesa e li corresse per aver esagerato a focalizzarsi troppo sui doni spirituali, particolarmente su quelli che avevano a che fare con l’edificazione personale degli individui come il pregare in lingue. Essi enfatizzavano troppo quel tipo di dono e la loro chiesa era divenuta una delle chiese peggiori di quei giorni. Leggendo il libro di Corinzi con attenzione si nota il fatto che essi si erano concentrati su sé stessi e sui doni che edificavano in modo egoistico. Nei capitoli della prima lettera ai Corinzi capitoli 12, 13 e 14 l’apostolo cercò di insegnare loro come usare i propri doni spirituali al servizio della chiesa. Il capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi dedicato all’amore è parte di una correzione a quella chiesa fuori strada dove lui stava cercando di insegnare come essere una chiesa migliore, utilizzando ciò che Dio aveva loro, al servizio degli altri. Il capitolo 12 della prima lettera ai Corinzi affronta il tema dei doni spirituali e l’apostolo Paolo esprime che non desidera che essi rimangano ignoranti di essi: “Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: «Gesù è anatema»; e che altresì nessuno può dire: «Gesù è il Signore», se non per lo Spirito Santo”. (1 Corinzi 12:3). Perciò, lo Spirito Santo è dentro di noi e la prima cosa che desidera fare è stabilire Gesù come il nostro centro. L’evidenza principale di una chiesa piena dello Spirito non è una chiesa che va matta per lo Spirito Santo o per i doni dello Spirito ma una chiesa che è innamorata di Cristo. Lo Spirito Santo ci guida ad ammettere che Gesù è Signore, non si tratta soltanto di pronunciare delle parole, è un’espressione del cuore. Gesù ha il diritto di mostrarci come vivere e di guidarci. Desideriamo che Lui diventi Signore della nostra vita e vogliamo diventare più come Lui.
“Or vi sono diversità di doni, ma non vi è che un medesimo Spirito”. (1 Corinzi 12:4). In questo passo l’apostolo mise tutti i doni sullo stesso piano, (ricordiamo che in quella chiesa essi esaltavano alcuni doni più di altri) anche se disse che i doni che aiutano le persone ad amare gli altri sono i doni da perseguire. “Vi sono anche diversità di ministeri, ma non vi è che un medesimo Signore. Vi sono parimenti diversità di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Or a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utilità comune.” (1 Corinzi 12:5-7). Lo Spirito lavora in tutti noi e in ognuno di noi, se abbiamo dedicato la nostra vita a Cristo. Ognuno di noi è attrezzato con qualcosa donato da Dio, che può essere utile al bene comune. “Ora noi tutti siamo stati battezzati in uno Spirito nel medesimo corpo, sia Giudei che Greci, sia schiavi che liberi, e siamo stati tutti abbeverati in un medesimo Spirito.” (1 Corinzi 12:13). “Affinché non vi fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero tutte una medesima cura le une per le altre.” (1 Corinzi 12:25). “Cura” nel greco originale è la stessa parola che Gesù utilizzò quando parlò durante il sermone della montagna chiedendo alle persone di non preoccuparsi per la loro vita. E’ un termine che indica “un intenso interesse per” perciò Gesù in quel contesto stava dicendo durante il sermone della montagna di non focalizzare il nostro interesse sulle cose fisiche che possediamo, o i vestiti che indossiamo, in alcune traduzioni viene tradotto come “preoccuparsi”. Se dovessimo preoccuparci, sarebbe meglio focalizzare quell’energia nell’interesse degli altri e nel prenderci cura di loro. Trasformare la nostra preoccupazione in interesse per altre persone ci aiuta a muoverci e a fare dei progressi in un senso relazionale.
“Or voi siete il corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per parte sua.” (1 Corinzi 12:27). L’apostolo Paolo aveva appena finito di fare un discorso nel capitolo precedente dove lo enfatizzava, perciò con queste parole lo stava rimarcando.
Nel capitolo 14 della prima lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo parla a coloro che hanno il dono delle lingue incoraggiandoli a optare per il dono della profezia. La profezia è un dono che lascia fluire la voce di Dio lo stesso all’interno delle persone ma è inteso come un dono utile per l’edificazione di un’altra persona. “Desiderate l’amore e cercate ardentemente i doni spirituali, ma soprattutto che possiate profetizzare, perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno lo comprende, ma egli in spirito proferisce misteri. Chi profetizza, invece, parla agli uomini per edificazione, esortazione e consolazione”. (1 Corinzi 14:1-3). Quell’espressione d’amore dovrebbe rappresentare il motore che ci spinge in avanti. Nel passo che leggeremo a seguire l’apostolo Paolo trae le sue conclusioni riguardo i tre capitoli (1 Corinzi 12, 13 e 14) rimarcando il punto principale. “Che conviene dunque fare, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi, chi un salmo, chi un insegnamento, chi parole in altra lingua, chi una rivelazione, chi un’interpretazione, (Relatore: si può anche contribuire condividendo qualcosa che uno sente nel suo cuore) si faccia ogni cosa per l’edificazione”. (1 Corinzi 14:26). Ognuno di noi è partecipe in modo equo. Questa è la visione radicale della chiesa. Oggigiorno molti cattolici e protestanti capiscono l’importanza dei piccoli gruppi e quanto sia fondamentale radunarsi e imparare l’uno dall’altro. Sono molto felice che ciò non sia diventato un intendimento relegato soltanto al pensiero della “terza via” ma per un lungo periodo vivere la fede in quel modo era tutto ciò che avevamo; certamente rappresentava un tipo di pensiero per il quale le persone erano disposte a vivere e anche a dare la loro vita. Nella nostra comunità di fede desideriamo rinvigorire la nostra visione e dire di sì, riconoscendo che questa è la nostra famiglia, la nostra casa ed eredità.
Vorrei concludere facendovi una domanda, “Siamo disposti sia a dare che a ricevere consigli?” Riflettiamo, lo siamo? Siamo delle persone che si presentano agli incontri, imparano qualcosa e poi si allontanano? Siamo disposti a rimproverare noi stessi, quando ci rendiamo conto che ciò che facciamo non sia ciò, che la chiesa dovrebbe essere? “Chiesa” significa radunarsi in un luogo dove ogni persona porta con sé qualcosa da dare ed è disposto anche a ricevere. Se siamo disposti a dare dei consigli ciò ci aiuterà a smettere di considerare la chiesa come un luogo dove tutto ciò che facciamo è presentarci. Ci aiuterà a crescere perché saremo predisposti a dover contribuire e a chiedere a Dio di renderci utili, di parlare attraverso di noi, di offrirci come volontari e di condividere. Mettere in pratica questo principio ci aiuterà ad essere più dedicati e a non voler manipolare o controllare gli altri perché se costruiamo la nostra mentalità basata sul fatto che noi siamo quelli che dobbiamo “dare” (grazie alla nostra “esperienza) allora stiamo seguendo le orme di Cristo. Siamo disposti a ricevere dei consigli e a dare ascolto a ciò che il corpo di Cristo sta cercando di comunicarci? Questo è qualcosa di bellissimo se riuscissimo a viverlo. Cerchiamo di riconsiderare ciò che significhi essere parte di questa comunità di fede.
Preghiera:
Padre Celeste, ti ringrazio per la nostra eredità spirituale. Nessuna famiglia è perfetta e nessuna famiglia spirituale è perfetta. Ti ringrazio per la nostra famiglia e per i nostri diversi fratelli e sorelle che non conosceremo finché non arriveremo in Paradiso che hanno vissuto bene che sacrificarono la loro vita per darci una nuova visione di ciò che la chiesa potrebbe e dovrebbe essere. Prego che non prendiamo queste cose alla leggera mentre indossiamo il mantello che apparteneva ai nostri antenati nella fede e che possiamo comprendere che non si sta parlando riguardo l’essere appartenenti alla “terza via” o meno. Questo ci indica soltanto la famiglia di fede alla quale apparteniamo ma se crediamo in questa visione potremo capire che cattura bene ciò che la chiesa nel Nuovo Testamento viveva e ciò che Gesù desideri che la chiesa sia. Prego che i nostri cuori siano rinvigoriti con il nostro proprio contributo a questo corpo di Cristo e a questa espressione del Suo corpo globale. Prego che il Tuo Spirito ci riempia di convinzione e ci incoraggi avvicinandoci l’uno all’altro così che possiamo fare il prossimo passo diventando un membro attivo di questa famiglia di fede. Nel nome di Gesù.
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