Ricordiamo tutte le sofferenze ipotetiche che stanno accadendo intorno al mondo alle quali spesso non pensiamo, fino a che il dolore non ci colpisca direttamente. La sofferenza è presente nella vita di tanti ed è buono sapere che Dio sia coinvolto nel loro dolore tanto quanto è coinvolto con il nostro ora o quando toccherà a noi. Il Suo cuore è allineato con coloro che soffrono, il cuore di Dio è pieno di dolore. Non è un Dio distaccato che ci guarda da lontano ma è intimamente coinvolto nel dolore e alla sofferenza di ogni persona. L’apostolo Paolo desiderava conoscere Gesù e quindi realizzò che avrebbe dovuto adottare il dolore, come una disciplina spirituale; si rese conto che non poteva limitarsi soltanto a leggere la Bibbia, a pregare, a pronunciare parole di fede e camminare vittorioso. Lui scelse di soffrire come Gesù e così facendo si sintonizzò con il cuore di Dio ogni giorno dell’anno. Quando soffriamo abbiamo fratellanza intima con Gesù perché quella è la realtà del mondo, non dobbiamo far finta che non esista, ma accoglierla.
Ci sono tre cose che suggerirei di fare quando veniamo incontro alla sofferenza e che in realtà dovremmo sempre mettere in pratica. Mantenerci allenati nella spiritualità della sofferenza allineandoci con coloro che soffrono ci aiuta a non subire uno shock nella nostra vita quando la si dovrà poi, affrontare personalmente. Quando la sofferenza arriva, dovremmo focalizzarci sull’amare Dio, servire gli altri e continuare ad andare avanti. Il salmo che leggeremo di seguito è indicativo della musica di lode del popolo d’Israele. “Fino a quando, o SIGNORE, mi dimenticherai? Sarà forse per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? Fino a quando s’innalzerà il nemico su di me?” (Salmi 13:1, 2.) In altre parole, “La vita fa schifo e Dio non si interessa di me. Io continuo a pregare ma non ricevo niente in cambio. Sono pervaso dalla solitudine…è questo il meglio che tu riesca a fare?”. Il salmo però finisce in questo modo: “Ma io confido nella tua benignità, e il mio cuore esulterà nella tua liberazione; io canterò all’Eterno, perché egli mi ha trattato con grande magnanimità” (Salmi 13:5, 6). Vedere la grazia di Dio e allo stesso tempo essere onesti riguardo al nostro dolore, sofferenza e domande non sono degli opposti ed è giusto che uno abbia questi sentimenti anche se contrastanti. La Bibbia ci dà degli esempi di una spiritualità onesta e autentica. Perciò possiamo rivolgerci a Dio tranquillamente con tutte le nostre frustrazioni se riconosciamo che il Dio al quale ci stiamo rivolgendo è il Dio che ci ha amati tramite Cristo e la croce. Lui ha sofferto insieme a noi.
Dio non è il nostro nemico, Lui è Colui del quale abbiamo più bisogno in questa vita; quindi è giusto avvicinarci a Lui anche se urliamo di dolore esprimendo la nostra rabbia; è un buon inizio, siamo in buona compagnia. Permettiamo a noi stessi di avvicinarci a Lui e ad una comprensione del Suo grande amore per noi. Lo scrittore C.S. Lewis ebbe un’esperienza del genere dopo la morte di sua moglie e scrisse un libro nel quale espresse i suoi sentimenti. Il titolo è “A Grief Observed”, (Un dolore osservato). Lui lo pubblicò con uno pseudonimo non volendo rivelare la sua identità, ma poi si scoprì che lui era l’autore. In quel libro egli dice che aveva la netta impressione che Dio non lo volesse ascoltare e che gli avesse chiuso la porta a chiave lasciandolo fuori, insultandolo, dimostrando il suo poco interesse per lui. C.S. Lewis si sentiva così, ma nel libro, concluse, dicendo di sentire la bontà di Dio nella sua vita e provare una certa vicinanza a sua moglie, proprio quando iniziava a lodare il Signore. Non appena lui, iniziava a dire quanto Dio fosse grande, buono e meraviglioso, si sintonizzava sulla realtà, dell’amore di Dio. Ironicamente se la persona che uno ama è passata a miglior vita insieme a Dio, l’essere arrabbiati con Dio ci allontana da Colui che ha in cura, il nostro caro. “In una certa misura tramite la lode riesco a godere della presenza di mia moglie e di Dio” (C.S.Lewis, A Grief Observed).
“Benedetto sia Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre delle misericordie e il Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, per mezzo della consolazione con cui noi stessi siamo da Dio consolati, possiamo consolare coloro che si trovano in qualsiasi afflizione” (2 Corinzi 1:3, 4). Dio ha promesso di operare attraverso la sofferenza per tirare fuori del bene. Dio farà in modo che la nostra sofferenza non venga sprecata se collaboriamo con il carattere e il Regno di Cristo, con la sua direzione e autorità; tutto ciò che dobbiamo affrontare ha il potenziale di trasformarsi in un dono che possiamo poi, offrire agli altri. Se Dio si limitasse soltanto ad aiutarci a migliorare la nostra persona e carattere, sarebbe una pratica piuttosto egocentrica. La via di Cristo consiste sempre nel ricevere, per poi dare. Perciò il nostro carattere migliora tramite la sofferenza per aiutarci a servire gli altri e a comprenderli meglio. Dopo un’esperienza di dolore uno può relazionarsi e avere un’empatia maggiore verso le persone che soffrono. I nostri occhi si rivolgono verso gli altri più di prima.
Helen Adams Keller (Tuscumbia, 27 giugno 1880 – Easton, 1º giugno 1968) è stata una scrittrice, attivista e insegnante statunitense, sordo-cieca dall’età di 19 mesi. Alla sua vicenda, e a quella dell’istitutrice che le insegnò a interagire con il mondo esterno così da poter affrontare gli studi fino alla laurea, fu dedicato il romanzo Anna dei miracoli. Lei era una persona che aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata con Dio ma scelse il contrario; lei amava il Dio di Gesù così tanto, che diventò una persona in grado di cambiare il mondo, invece di limitarsi ad avere una relazione personale con Lui e basta. Lei scrisse: “Nonostante il mondo sia pieno di sofferenza, esso è tuttavia pieno della possibilità di vincere la sofferenza”. “Quando siamo più infelici è quando dobbiamo credere che abbiamo il dovere di fare una differenza nel mondo. Finché esiste la possibilità di alleviare il dolore altrui e lo mettiamo in atto, la nostra vita non è invano”. (Helen Keller).
E’ importante guardare avanti. L’apostolo Paolo scrisse nel bel mezzo della sofferenza più terribile: ” Perciò noi non ci perdiamo d’animo; ma, anche se il nostro uomo esteriore va in rovina, pure quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti la nostra leggera afflizione, che è solo per un momento, produce per noi uno smisurato, eccellente peso eterno di gloria; mentre abbiamo lo sguardo fisso non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne” (2 Corinzi 4:16-18). Abbiamo notato il paragone che ha fatto in questo testo? E’ interessante che non si sia focalizzato sul suo tormento presente e che non abbia paragonato la sua situazione ad un’altra persona che stava meglio di lui. L’apostolo Paolo scelse invece di fissare il suo sguardo verso l’eternità. Una buona pratica perché ricordare che qualsiasi prova si debba affrontare in questa vita non è niente in confronto alla ricompensa che riceveremo per l’eternità, ciò è molto incoraggiante. Lui adottò la prospettiva giusta concludendo che il dolore che stava affrontando non fosse altro che “leggere afflizioni” temporanee. Possiamo essere onesti sulla nostra condizione attuale e riconoscere il nostro dolore ma essere incoraggiati dal fatto che esista qualcosa di concreto molto positivo in serbo per noi.
Nel prossimo passo che leggeremo, Gesù stava parlando con l’apostolo Pietro riguardo la sua vita, offrendogli l’opportunità di rinnovare la sua dedizione e amore verso di Lui: “«In verità, in verità ti dico che, quando eri giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà là dove tu non vorresti». Or disse questo per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo, gli disse: «Seguimi».” (Giovanni 21:18, 19). Quindi possiamo dedurre che si glorifichi Dio quando siamo in salute, quando siamo malati, con il nostro servizio e con la nostra morte. La nostra sofferenza rappresenta soltanto un altro modo per glorificare Dio. Gesù insegnò ai Suoi discepoli che la sofferenza fosse qualcosa da aspettarsi e di normale. Aveva insegnato loro di “prendere le loro croci e serguirLo”, “se mi perseguitano e sono il vostro Signore e Maestro, pensate a ciò che faranno a voi”, li preparò a dover affrontare dei momenti difficili di dolore intenso. Gli insegnamenti di Gesù su questo tema erano chiari. Predisse la morte dell’apostolo Pietro spiegandogli che sarebbe stato qualcosa di terribile ma non si fermò lì, Gesù continuò dicendo: “Seguimi!”. Queste sono state le parole chiave ed un invito a partecipare alla Sua spiritualità. Se sentissimo che Dio ci avesse deluso, solo perché abbiamo deciso di seguirLo, pensando che avremmo condotto una vita libera dalle sofferenze e invece scopriamo che non è così, vorrei chiarire che Gesù è sempre stato molto chiaro sin dall’inizio. I primi anabattisti avevano incluso questo punto, cioè il doversi aspettare di soffrire nel loro statuto di fede teologico perché leggendo le Scritture compresero che se la sofferenza non gli fosse andata incontro, allora loro avrebbero dovuto cercarla, per alleviare il dolore altrui. In ogni caso dovremmo essere preparati ad affrontare la sofferenza nella nostra vita, perché essa, ne è parte. Gli anabattisti furono perseguitati e soffrirono ma ne erano consapevoli e preparati, se l’aspettavano. La reazione dell’apostolo Pietro fu curiosa perché chiese a Gesù riguardo l’apostolo Giovanni dicendo: “…che ne sarà di lui?”. Quel che doveva accadere all’apostolo Giovanni non aveva nulla a che fare con lui ma sperava di poter usare ciò che Gesù avrebbe detto riguardo a Giovanni per perorare la sua causa e migliorare la sua situazione. Gesù era a conoscenza di ciò che sarebbe accaduto nel futuro e che l’apostolo Giovanni avrebbe vissuto una vita molto difficile sotto persecuzione. Gesù poteva comunicarlo all’apostolo Pietro per farlo stare in silenzio ma non lo fece perché desiderava che Pietro comprendesse ciò che stava cercando di insegnargli. Gesù rispose: «Se io voglio che lui rimanga finché io venga, che te ne importa?» (Giovanni 21:23). Stava sfidando l’apostolo Pietro a seguirLo nonostante le circostanze e la sofferenza che avrebbe dovuto patire. Quando soffriamo siamo spesso tentati di paragonarci con gli altri ma il paragonarsi è un veleno. Gesù ci ha chiesto di tenere i nostri occhi fissi sulla Sua persona e ci incoraggia ad andare avanti e a superare i nostri momenti difficili che dovremmo aspettarci; questa è la spiritualità della quale Gesù ci ha parlato dall’inizio e modellerà la nostra vita al Suo carattere. Insieme, noi e Lui, potremmo diventare delle persone in grado di dare conforto, incoraggiamento e aiutare gli altri. Niente verrà sprecato.
La via di Cristo è la via della sofferenza. Esiste una fratellanza speciale che si ottiene soltanto tramite il dolore. L’unica spiritualità che è in sintonia con le Scritture e con il mondo che ci circonda è la spiritualità della sofferenza; qualsiasi altra cosa è un evadere la realtà.
Conclusione:
Vorrei concludere con un esempio di vita raccontando la storia di una coppia dei membri della nostra comunità di fede. Lawrence e Sheryl Vandermark scelsero di vendere le loro proprietà e di trasferirsi a Haiti insieme alla loro famiglia prima del terremoto in quell’isola. Insieme ad altri missionari presenti sul luogo iniziarono a prestare servizio medico (sono dei dottori) in quel luogo. Dopo il terremoto il loro aiuto fu essenziale e reggevano il flusso di persone bisognose con molta difficoltà. Loro avrebbero potuto ritirarsi da quell’isola decidendo di non essere in grado di reggere la pressione visto che non era qualcosa che avessero calcolato quando si erano trasferiti lì. Invece conclusero che Dio li avesse portati lì proprio per quell’evento; soffrirono molto, ma lo fecero con gioia. Rinunciarono a tutto per servire gli altri scegliendo di sacrificare le loro vecchie vite di successo, il loro lavoro, amici e tutto, per dedicarsi agli altri. Nonostante le loro difficoltà, Dio fu fedele e li aiutò a consolidare la loro relazione con Lui. Dio non ci chiede sempre di rinunciare a tutto e di partire, ma un giorno potrebbe farlo. Chi non ha questa chiamata dovrebbe chiedersi quale sia la forma che dovrebbe prendere la sua sofferenza. Come possiamo non essere attaccati alle nostre possessioni, al nostro status sociale e finanze così da minimizzare i nostri consumi personali per poter dare di più agli altri? Come possiamo tagliare delle cose non essenziali dalla nostra routine quotidiana per dedicare più tempo alle persone che soffrono? Come possiamo fare strada in quella direzione personalmente e anche essere d’aiuto a chi si dedica pienamente al servizio degli altri? Questa è la spiritualità che dovremmo seguire.
Vorrei invitare tutti a decidere di seguire Gesù. E’ molto facile, perchè adesso abbiamo un’idea chiara della Sua chiamata. L’apostolo Pietro scrisse le seguenti parole riguardo la sofferenza ingiusta che la chiesa alla quale scriveva stava vivendo. “A questo infatti siete stati chiamati, perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, affinché seguitate le sue orme” (1 Pietro 2:21). C’è da evidenziare che Cristo ha sofferto per noi non per risparmiarci il dolore ma per darci un esempio ed aiutarci a seguire i Suoi passi. Questa è la nostra chiamata. “Tu dunque sopporta sofferenze, come un buon soldato di Gesù Cristo” (2 Timoteo 2:3). Siamo stati chiamati a soffrire come Cristo e a seguirLo fino alla croce. Dobbiamo partecipare anche noi alle Sue sofferenze. Dobbiamo prendere la nostra croce e seguirLo. Forse chi legge è nuovo nella fede o sta investigando per avere risposte. Vorrei invitarvi tutti ad avere il coraggio e la convinzione di accettare Gesù sapendo bene a cosa si va incontro. Forse qualcuno di noi è cresciuto in ambienti di chiesa dove si parlava della croce, di amare gli altri e del dolore del mondo ma in un modo mentale distaccato invece di modellare la nostra fede secondo la chiamata del Gesù delle Scritture non il Gesù occidentale della teologia della prosperità. Questa è la nostra occasione per accettare il vero Cristo. Preghiamo insieme
Preghiera: Padre Celeste, mi pento delle volte in cui ho cercato di trasformarti in un Dio fatto secondo la mia volontà, in un Dio al mio servizio che deve occuparsi del mio benessere personale. Ti chiedo perdono e desidero dedicarmi a serguirTi. Gesù perdonami per le volte in cui ho detto che ti avrei seguito ma invece ho lavorato contro ciò che significhi la Tua vera spiritualità. Desidero prendere la mia croce e seguirTi davvero. Prego che possiamo percepire il piacere e la grazia del Tuo Spirito mentre ci sorride e scorre dentro di noi così che possiamo avere una vera fratellanza con il Tuo cuore tramite la fratellanza delle sofferenze di Cristo. Nel nome di Gesù, amen.
Commenti recenti