Questa nuova serie di studi ha l’intento di creare uno spazio sacro dove potersi mettere in contatto con il nostro proprio dolore, agitazione, confusione, per poi portarlo a Dio chiedendogli “Mio Dio, perché? Perché mi hai abbandonato?” Perché esiste tanta sofferenza e disperazione in questo mondo?”  

Le Scritture ci incoraggiano a pregare in questo modo. Il libro dei Salmi contiene molte preghiere in cui l’autore esprime tutti i suoi dubbi, frustrazioni e rabbia. Il domandarci e il condividere le nostre ansie e paure gli uni gli altri fa parte della nostra vita di fede. Non dobbiamo fingere di avere tutte le risposte a tutti i quesiti,  perché non è così. Esistono molte domande senza risposta con le quali ci troviamo a convivere.  

Come movimento cristiano desideriamo affrontare la realtà, quindi cercheremo di approfondire il concetto della sofferenza e del dolore cercando delle risposte. Nei momenti di crisi come in questo periodo di restrizioni contro il contagio del Covid 19 o quando si avvicina una sventura nella nostra vita, tutto ad un tratto sorgono quelle mille domande sul perché di ciò che sta accadendo. Vorrei raccontare un fatto realmente accaduto, la storia del bambino Steven, aveva sei anni quando la sua mamma scoprì una sporgenza sotto il suo braccio. Dopo averlo portato dal dottore per fargli fare alcuni esami, scoprimmo che il bimbo aveva il cancro. Gli anni seguenti della vita di Steven furono stravolti da radioterapia e chemioterapia. I suoi genitori e le sue tre sorelline dovettero affrontare la terribile tortura di osservare la sofferenza di Steven, nonché l’infinità di domande che quella situazione aveva provocato. Steven morì alla tenera età di undici anni. Conosco bene la sua storia perché è la storia della mia famiglia, lui era mio fratello più grande. Lui andò in cielo prima della mia nascita.  Io sono cresciuto nella consapevolezza di essere parte di una famiglia che dovette attraversare un grande dolore. Tutti abbiamo attraversato dei momenti del genere o conosciamo chi ha dovuto farlo. Il cancro è una delle malattie più comuni e tristemente ha toccato tanti. In Africa ad esempio, una persona su cinque è HIV positiva, questo senza tener conto delle mille altre malattie che si possono contrarre in quel continente. Il nostro pianeta è pieno di sofferenza. Spesso la tortura psicologica delle domande che si generano quando si attraversa una difficoltà, è completamente insostenibile.  

I miei genitori avevano tre figlie e un figlio quindi avevano deciso di non avere più bambini ma dopo la morte di mio fratellino ebbero una riunione di famiglia dove misero a votazione la possibilità di avere un altro bambino o no. Dopo questo evento io sono stato concepito. Io sono cresciuto in un ambiente familiare dove sono stato profondamente amato dai miei genitori e anche dalle mie sorelline. La cosa strana per me dal punto di vista psicologico è che ogni volta che questo tema salta fuori mi accorgo che esisto soltanto perché il cancro portò via il mio fratellino. Come dovrei agire? E’ giusto ringraziare Gesù per quel fatto o dovrei rimpiangere la mia esistenza?   

Desideriamo approcciare questo tema in umiltà, con grazia. Noi non abbiamo la verità in tasca e non siamo in grado di dare una risposta a tutto solo perché possediamo le Scritture. Sarebbe sbagliato considerare la Bibbia il grande libro che contiene tutte le risposte perché in realtà quel libro genera anche, molte domande. Utilizzeremo la Bibbia durante questi studi per dare alcune risposte ma siamo consapevoli che ognuna di loro, genererà altre domande. Scopriremo che le domande sono senza fine al punto in cui non riusciremo più a dare altre risposte.  

L’apostolo Paolo ha detto: ” Ora infatti vediamo come per mezzo di uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo a faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò proprio come sono stato conosciuto” (1 Corinzi 13:12).  Quindi, noi che seguiamo Gesù non abbiamo un quadro chiaro delle cose e dovremmo essere i primi ad ammetterlo senza fingere di avere una risposta per tutto. Lo specchio menzionato nel versetto nel greco originale, si riferisce ad un pezzo di vetro opaco molto spesso tramite il quale si cerca di intravedere la realtà dall’altra parte di esso. Ciò che si riesce a vedere è talmente velato però, che l’unica cosa che si riesce a distinguere, è il riflesso della nostra propria immagine, la proiezione di ciò che desideriamo vedere. Questa è la realtà che abbiamo come essere umani; non cerchiamo di fingere di saperne di più! Ora vediamo un riflesso molto debole come se la nostra “finestra” fosse uno specchio. Ora conosciamo le cose in parte ma arriverà il giorno quando conosceremo proprio come siamo stati conosciuti. Noi non dobbiamo far finta che quella realtà sia vera ora. Dovremmo essere una comunità di persone che riconosce che desidera sapere di più, consapevoli che non arriveremo mai al tutto, fino al giorno in cui Gesù ce lo rivelerà. La mia speranza è che questa serie possa aiutarci a maturare, aiutandoci ad essere in grado di convivere con le nostre domande in modo salutare. “Credo che la liberazione abbia inizio con le domande, con persone che adorano formulare degli interrogativi e convivere con questi. Persone che sentono una grande gioia quando vengono interpellate” (David Dark, scrittore americano). Abbiamo cercato di fingere di essere le persone con la risposta pronta mentre la Bibbia ci incoraggia a fare il contrario. Siamo delle persone con tante domande che hanno una relazione con la Persona di Gesù. Siamo dei seguaci di Cristo ma ciò non significa che sappiamo rispondere ad ogni domanda. Perciò dovremmo formulare le nostre domande mentre continuiamo il nostro cammino.  

Tanti di noi chiediamo: “Mio Dio, perché esiste il male e la sofferenza?”  Diversi sono alla ricerca di una risposta razionale o accademica. “Come mai voi cristiani affermate che Dio permetta la sofferenza e perché continuate a credere in Dio se esiste così tanta malvagità? “. 

Chi formula quel tipo di domanda desidera sentire cosa abbiamo da dire sinceramente, o ha semplicemente  bisogno di trovare una risposta sensata al dilemma che sta affrontando, per sentirsi incoraggiato nella fede. Chiedersi il perché è una vera domanda che merita una vera risposta. Alcuni non sono alla ricerca di risposte sensate ma hanno bisogno di chiedere a gran voce a Dio “Mio Dio, perché?!” Forse chi è stato appena colpito da una grande tragedia o dolore spera di trovare delle risposte ma sta attraversando un momento di grande agitazione e quindi approfondire il tema del pianto in questo modo non è proprio ciò di cui ha bisogno. Quelle persone hanno bisogno di trovare una comunità di persone che siano in grado di piangere insieme a loro e aiutarli a processare tutto quanto, spero che possiamo farlo insieme a voi. Questo è un buon momento per incoraggiare chi ha bisogno, ad unirsi a una delle nostre chiese in casa.  

Esistono anche delle persone che formulano delle domande con il proposito di fare delle affermazioni nascondendo il loro intento in una domanda. “Come si fa a credere in Dio quando c’è così tanta sofferenza in questo mondo?”  La loro domanda però non ha l’intento di voler arrivare ad una risposta, desiderano soltanto fare un discorso. A volte ci sbatteremo con quel tipo di persone quindi dovremmo chiederci: la loro è una vera domanda, un’espressione del loro dolore o stanno soltanto cercando di ribadire qualcosa e basta. Non c’è molto che si possa dire a quel tipo di persona. Spero che tutti noi possiamo formulare delle domande e cercare di trovare delle risposte. In questi studi cercheremo di presentare la visione del mondo cristiano, dal paradigma che Gesù ci offre. Qual è la risposta che Cristo ci dà? Questo è il meglio che possiamo fare e le persone poi sono libere di scegliere se accettare o meno la risposta.   

Il passo che leggeremo è documentato sia nel Vangelo di Marco che in quello di Matteo, è uno dei passi più potenti dell’intera Bibbia riguardo  questo tema in particolare. Gesù era stato appena torturato e crocifisso. Mentre era appeso sulla croce e si avvicinava alla morte, ad un certo punto si fece buio. La natura stessa sembrava piangere ciò che stava accadendo, dando segnali di qualcosa di profondo. “E all’ora nona, Gesù gridò a gran voce: “Eloi, Eloi, lammà sabactani?”. Che, tradotto vuol dire: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15:34). Cosa possiamo dire riguardo a quelle parole? Cosa possiamo imparare attingendo da questo testo? Quelle parole furono importanti perché la Prima Chiesa decise di mantenerle in aramaico, la lingua originale di Gesù. Il vangelo di Matteo ha tenuto un paio di parole in ebraico. Gli autori del Nuovo Testamento decisero di scrivere in greco e non in aramaico, perché ritennero che fosse più importante diffondere il messaggio. Il greco era la lingua più popolare di quei giorni ed era la più utilizzata per fare commercio. Quindi decisero che fosse più importante diffondere la parola di Cristo che documentare e preservare le Sue parole, non volendo correre il rischio che venissero trasformate in un idolo o in un mantra. Per loro la parola di Gesù, il Suo messaggio doveva essere proclamato dappertutto. Quindi i testi originali dei Vangeli erano già una traduzione con qualche eccezione. Solo in alcuni casi gli autori del Vangelo ritennero che fosse importante mantenere le parole originali di Gesù. Un esempio è il nome con cui Gesù si rivolse a Dio: “Abba”,  significa “papà” o “babbino”  in aramaico, perché volevano rimarcare il modo affettuoso con cui Gesù si rivolgeva a Dio. I rabbini si appellavano a Dio chiamandolo “Re” o “Signore” o “heshem”, “il nome”. Gesù non lo chiamò “padre” ma “papà”. Aveva una relazione intima e profonda con Dio che poi ha allargato anche a noi. Un altro esempio sono le parole in aramaico del passo che abbiamo letto prima, invece di tradurle decisero di lasciarle nella lingua originale così che le persone potessero comprendere in modo chiaro ciò che aveva detto. La Prima Chiesa non avrebbe inventato una cosa del genere e le parole sono affidabili storicamente. Questo perché, la Prima Chiesa in quel periodo era sotto attacco, si pensava che fossero una setta ed erano perseguitati. Certamente per aiutare i loro amici ebrei a comprendere che Gesù fosse il Messia, documentare le parole di sconfitta di Gesù mentre moriva, non era buona pubblicità e avrebbe fatto sorgere molteplici domande. Questo in sé è evidenza che gli autori del Vangelo ritennero che le parole di Gesù fossero cariche di significato e così scelsero di pubblicarle nonostante le conseguenze.