Amore meraviglioso parte 1
Le parole contenute nel passo che troviamo nel vangelo di Giovanni al capitolo 3:16 sono piene di verità e ci danno una prospettiva chiara riguardo a Gesù, ci proietta una chiara immagine di Dio. In questo studio approfondiremo il prezioso e profondo tema di questo verso che esprime il grande amore di Dio verso di noi. La consapevolezza di quanto siamo amati dovrebbe aiutarci ad amare gli altri seguendo l’esempio che Gesù ci ha dato.
Esistono diversi tipi di amore; i greci utilizzarono tre parole per descriverlo. La prima è “eros” (έρως) termine che definisce l’amore sessuale, ma non solo. Deriva da Ёραμαι” (eramai) che vuol dire “amare ardentemente”, “bramare”. L’altra parola, Philia (φιλία) è l’amore di affetto e piacere, di cui ci si aspetta un ritorno, ad esempio tra amici. Ed infine “agape” l’amore nel dare in maniera altruistica, l’amore senza condizioni, il vero amore di Dio. Questo genere di amore viene elargito generosamente per aiutare un’altra persona senza aspettarsi niente in cambio. Dare con il proposito d’aiutare l’altra persona a crescere anch’essa nell’amore. Questo può anche significare disciplinare una persona quando necessario, incoraggiare la persona a cambiare o cose del genere. Questo passo del vangelo “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque creda in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16) ci trasmette una meravigliosa verità: “la crocifissione di Cristo è un’espressione dell’amore di Dio”.
Esiste una corrente teologica che sostiene che l’ira di Dio avrebbe dovuto essere riversata su di noi ma che Gesù si sia messo davanti prendendola su di Sé per salvarci, ci fa pensare che Gesù sia amorevole e che invece il Padre sia un Dio di giustizia. Questo modi di vedere le cose è in totale disarmonia con il messaggio principale dei vangeli. Il sacrificio che fece Gesù per noi donando Sé stesso, sulla croce dovrebbe essere visto come un’espressione dell’amore di Dio per noi. “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato…”. Esiste una connessione tra l’amore e il dare, “Dio ha tanto amato il mondo…”, che realtà fantastica! La croce dovrebbe farci capire quanto Dio ci ama. La croce è un’espressione del Suo amore. Dio ci ha “tanto amato”. Queste parole lo rimarcano e il termine “amore” in greco contenuto in quella frase è appunto “agape”, amore altruista. Di solito il termine “agape” (nel greco originale), veniva utilizzato come verbo e raramente come nome. Questo termine era utilizzato di più come nome nelle traduzioni dall’ebraico alla lingua greca, dell’Antico Testamento. Esiste un termine in ebraico che esprime un tipo d’amore: “hessed”. Il termine “hessed” in ebraico, era utilizzato quando si parlava dell’amore in una relazione matrimoniale e che viene espresso tramite un patto fondato sulla lealtà. Quando i traduttori dovettero tradurre quella parola, dovettero cercare un termine greco, e “agape” fu il termine scelto per tradurre “hessed” e così “agape” acquisì anche quel significato: l’ “hessed” di Dio, la Sua dedizione a noi, il Suo patto d’amore verso di noi. Il termine “amato” in Giovanni 3:16 ha quel significato: lealtà.
Il filosofo Joseph Fletcher, definì “hessed” come “volontà benevola attiva”. In altre parole, un invito a volere il bene dell’altro in maniera attiva; “agape” non è teoria ma amore in azione.
A questo punto domandiamoci, qual è la nostra predisposizione e il nostro atteggiamento verso gli altri? Che cosa diciamo degli altri quando essi non sono presenti? Ricordiamoci che Dio considera ogni persona di grande valore, non dovremmo quindi anche noi considerarli in quel modo? “Gli altri” sono portatori dell’Immagine di Colui che amiamo e quindi nonostante siano degli esseri imperfetti pieni di cose che non vanno, dovremmo scegliere di attribuire loro valore e considerarli degli esseri preziosi. Questa è la prospettiva che dovremmo adottare ed è ciò che significa amare. Dio ha fatto proprio questo per noi. Amare non significa agire facendo cose che ci fanno sentire bene ma scegliere di fare ciò che è giusto o buono nonostante i nostri sentimenti. Questo è l’amore che Dio ha per noi.” Egli ha tanto amato il mondo…”.
La parola “kosmos” tradotta in “mondo” ha diversi utilizzi nel Nuovo Testamento; a volte si riferisce a tutta la creazione, altre volte descrive la malvagità del sistema mondiale, altre ancora si riferisce a tutto il genere umano (come nel caso del versetto che stiamo approfondendo), perché parla di coloro che rispondono con fede e che credono. Questo versetto è diretto all’intera umanità. Se un pensiero teologico sostenesse che Dio ami soltanto una certa categoria di persone da Lui prescelta, le famose persone “elette” o la “chiesa” questo concetto non sarebbe in linea con il cuore del messaggio del Nuovo Testamento.
L’accademico e presidente emerito dell’università di Witworth in Washington Robert H. Mounce disse: “Chiunque tenti di restringere il termine “kosmos” soltanto agli eletti ignora l’utilizzo chiaro del termine in tutto il Nuovo Testamento; Dio ha dato il Suo Figlio per la salvezza di tutta l’umanità”. Questo significa che Dio ha incluso tutti noi! Dio ci ama così tanto! Dio mi ama!! Possiamo dichiararlo a destra e a sinistra basandoci sull’autorità di Cristo. Dio ama ognuno di noi… immensamente! Per alcuni, la parola “amore” ha perso di significato e quindi a volte abbiamo bisogno di utilizzare altri termini per comunicare questo messaggio agli altri. Possiamo dire che Dio ci ama e che Gli piacciamo. Io spesso dico alle persone che Dio si è preso una cotta per loro e che desidera tanto avere una relazione con lui o lei e che sia innamorato pazzo di loro. Dio ci ama profondamente. L’amore. Inteso in questo senso, non è un sentimento ma una scelta, però l’essere amati è si un sentimento e questo è favoloso!
Dovremmo permettere che questo pensiero ci penetri.
Dio ci conosce a fondo e siamo pienamente amati. Da questo dovremmo imparare che anche noi dovremmo amare gli altri molto di più. “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato…” L’amore è pienamente vissuto quando si trasforma in azione e dona. La poetessa, attrice e ballerina Maya Angelou scrisse: “Niente funzionerà a meno che non lo fai tu per primo”. Quelle parole hanno catturato l’essenza di ciò che significhi amare. “Agape” significa “io sarò presente per te nonostante le circostanze” e anche “io ti aiuterò a diventare la migliore versione possibile di te stesso”. Significa vivere il tipo di amore che dà.
Sono consapevole che si possa adottare un falso senso d’amore che sembra attivo, ma che in realtà non lo è. Pensiamo di amare perché siamo delle persone sensibili emotivamente ma un amore che non dà e che non è messo in pratica rimane soltanto un’emozione. Abbiamo tutti provato l’esperienza di aver fatto cose che ci hanno fatto sentire come se avessimo amato chissà quanto, ma che in realtà non hanno combinato veramente niente. I social media sono un mezzo di comunicazione importante, ma dovremmo ricordarci che mandare dei messaggi o scrivere dei bei versetti e basta non significa amare veramente. C’è una grande differenza. Potrebbero esserci delle ottime giuste cause o gruppi su Facebook e potremmo farne parte convincendoci di contribuire nello svegliare la coscienza delle persone che ci leggono (ciò è comunque positivo) ma limitarsi a fare solo quello, non cambierà un gran ché il mondo. Se definissimo l’amore in termini del tipo: sono consapevole di dove sbaglio; oppure, mi pento di ciò che ho fatto; ho dei buoni sentimenti riguardo quella persona e via dicendo, limitandoci soltanto a questi tipi di realtà mentali, non staremmo combinando veramente niente. L’amore quando è consapevole si mette all’opera. Il punto di partenza è iniziare con le persone con cui siamo in contatto personalmente e da lì espanderci verso tutti gli altri. Chiediamoci: sto amando gli altri nel modo in cui Dio sta amando me? Sto trasformando i miei sentimenti in azione?
Sto vivendo l’ “agape” dedicandomi ad una causa? Non dovremmo ignorare o essere indifferenti verso le persone che ci circondano, mentre cerchiamo di raggiungere una posizione gloriosa sul palco mondiale, perché ciò, ahimè, significherebbe mancare il bersaglio. Iniziamo con la nostra famiglia, stiamo amando veramente nostro marito o nostra moglie o nostro papà, mamma, fratello o sorella cercando di metterci al loro servizio? Come ci comportiamo con i nostri amici? Siamo delle persone che cercano di prendere sempre il centro dell’attenzione o cerchiamo invece di metterci a disposizione degli altri? Come ci comportiamo con gli estranei? In quale modo cerchiamo di mettere da parte un po’ di tempo nella nostra vita per riuscire ad investire sugli altri?
La chiesa può diventare un tipo di laboratorio in cui si può sperimentare la comunità, luogo dove poter iniziare a mettere in pratica questi principi, tutti insieme. Alcuni hanno un approccio con la chiesa, come dire di amore “eros” nel senso che hanno l’atteggiamento di voler prendere quello che possono senza dover dare, frequentano per soddisfare i loro propri bisogni fermandosi lì. L’atteggiamento giusto sarebbe quello di frequentare perché si crede davvero nel messaggio che la chiesa porta. Avere il desiderio di investire in essa ed essere felici di poter dare e di poter contribuire.
Chiediamoci: “mettiamo a disposizione il nostro tempo quando ci è possibile? Siamo delle persone generose con i nostri beni o lasciamo sempre che siano gli altri a dare? Ci lasciamo coinvolgere negli incontri in casa e prendiamo del tempo per conoscere le persone meglio mettendoci al loro servizio?” La vera chiesa consiste proprio nell’agire in quel modo. La comunità di fede ci aiuta ad allenarci nelle aree dove non siamo forti per poter poi riuscire ad amare gli altri al di fuori della nostra cerchia di persone.
Vorrei incoraggiarvi ad applicare questi principi al modo in cui siete abituati a vivere all’interno della vostra comunità. “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio…”. Il termine “unigenito” nel greco originale è “monogene” che significa “unico della sua specie”, e potrebbe essere utilizzato in una famiglia che ha un figlio unico ed è per questo che i traduttori scelsero la parola “unigenito Figlio”. In realtà il termine “monogene” ha un significato più vasto e si applica a qualsiasi cosa che sia unica nella sua categoria.
Gesù è il Figlio unico di Dio ed è l’unico della sua categoria. Quest’affermazione potrebbe sembrare piuttosto esclusivista, e ci chiediamo, come mai Dio ha provveduto soltanto ad una sola via per la salvezza? Come mai Dio ha scelto soltanto Gesù e non esistono altre vie per giungere a Lui? Quella domanda ha senso soltanto dal punto di vista umano come se tutte le opzioni fossero presenti dall’inizio e che Dio sia Colui che le abbia ristrette soltanto ad un’unica via. In altre parole, alcuni potrebbero pensare che siamo nati con cinquanta scelte davanti a noi del come raggiungere Dio e che Lui le abbia tolte tutte di mezzo lasciandoci soltanto un’opzione. Dal punto di vista di Dio invece Egli ha scelto di rivelarsi a noi attraverso Gesù. Egli ha voluto includerci nella sua Famiglia. Il pensare che possano esiste diverse vie per giungere a Dio sarebbe come se qualcuno esprimesse il desiderio di conoscermi di persona ed io mi presentassi a casa sua e quella persona reagisse dicendo di non gradire la mia presenza e che preferirebbe scegliere altre vie per conoscermi meglio…
Ci potrebbero essere migliaia di opzioni per poter conoscere chiunque altro, ma per conoscere me, esiste soltanto un modo; avvicinarsi alla mia persona. Quindi, quando gli uomini hanno espresso il desiderio di conoscere la realtà suprema, Dio e la verità, Egli si è presentato a noi tramite Cristo sostenendo di essere «la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Giovanni 14:6).
È un’affermazione di natura esclusivista? No. Noi non possiamo arrivare al Padre se non per mezzo del Figlio perché Cristo è il Padre sceso a noi.” Poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” (Colossesi 2:9). Si tratta dell’amore di Dio manifesto in Cristo. Dio ha scelto di venire a noi dichiarando che chiunque crede ha la possibilità di ottenere la salvezza. Il fatto che Gesù abbia detto che Dio ha tanto amato il “kosmos” o mondo fu un altro concetto rivoluzionario che Gesù espresse nel contesto sociale ebraico di quel tempo.
Nella letteratura ebraica non troviamo nulla di simile. Secondo il loro pensiero Dio ama il mondo attraverso il popolo Ebraico: “Dio ama Israele e desidera operare tramite Israele per diventare una benedizione per altre nazioni; una luce per il mondo”. Quindi l’amore, il cuore e l’“hessed” di Dio appartenevano esclusivamente a Israele. Gesù con quest’affermazione sconvolse i loro preconcetti sostenendo che fin dall’inizio la Sua intenzione era quella di amare e di collaborare con Israele per esprimere quell’amore al resto del mondo. Tramite Cristo, Dio afferma di amare tutto il mondo.
Se si trattasse di scegliere Dio come si sceglie un sapore di gelato, se è così che consideriamo le religioni del mondo, allora abbracceremmo il pensiero che nulla è vero in senso assoluto e perciò non importa ciò che scegliamo perché non stiamo parlando della verità ma delle nostre preferenze. Se vediamo il fatto che Dio ha scelto Gesù come unica via per raggiungerlo come se fosse un obbligo a mangiare per forza solo un sapore di gelato, allora sarebbe insensato. Ma se siamo alla ricerca della verità, della realtà e desiderassimo conoscere Dio davvero, allora non potremo incolpare Dio di essere di natura esclusivista quando Lui si presenta a noi e ci dice: “Eccomi! Sono qui! Io ti amo”.
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